martedì 14 agosto 2018

Africa?

Ho sorriso, qualche giorno fa, leggendo le note di un piccolo amministratore locale che si stupiva dei giovani africani, giunti in Europa, tutti con "titoli di studio" e in grado di parlare correttamente "inglese" e "francese".

L'amministratore, che ha conseguito la licenza media ormai qualche tempo fa, dovrebbe sapere che l'Africa ha perso da tempo i connotati di quel continente selvaggio da esplorare e da sfruttare a cui ci ha abituato una certa letteratura; esistono scuole, accademie e università - alcune anche molto dignitose, sebbene purtroppo non siano diffuse capillarmente su tutto il vastissimo territorio. 

La più antica università del mondo è in Marocco, a Fez: Al Qaraouiyyine fu fondata da una donna, Fatma Al-Fihri, e fu frequentata da Maimonide e forse da Gerberto di Aurillac, il futuro Papa Silvestro II (che è ritenuto da molti il più grande matematico europeo del suo tempo).

Ricordiamo che il primo trapianto di cuore da umano a umano è stato eseguito il 3 dicembre 1967 presso l'ospedale di Città del Capo (Sudafrica) e nell'equipe del dottor Bernard c'era anche Hamilton Naki, infermiere, insegnante e ricercatore nel campo della cardiochirurgia - nativo africano e non discendente da coloni europei. 

A riguardo della conoscenza delle lingue: io personalmente non mi stupisco che questi giovani conoscano francese e inglese, visto che l'Africa è stata colonizzata in larga parte da Francia e Regno Unito, due super-potenze coloniali. Questa carta rappresenta la situazione nel 1939: in rosso i territori occupati dalla Francia, in blu quelli occupati dagli Inglesi.


Illusi dal folle sogno dell'impero, gli italiani avevano invece occupato la Libia (che Salvemini definì qualche tempo prima uno scatolone di sabbia) e il corno d'Africa (Etiopia, Eritrea e Somalia). Non sempre essi furono particolarmente gentili con le popolazioni autoctone: si ricordano ancora le rivolte sedate con l'uso di aggressivi chimici, anche grazie a illustrazioni d'epoca realizzate e diffuse dagli stessi occupanti. Il resto dell'Europa non si indignava poi tanto, ma studiava i risultati degli italiani con algido rigore scientifico (il trattato sugli aggressivi chimici di Mario Sartori, con la prefazione del prof. Guido Bargellini, fu tradotto in diverse lingue, anche in inglese). Se poi andassimo a vedere cosa combinavano più o meno negli stessi anni i giapponesi in Cina...


Avrebbero più di un motivo per detestarci, gli eredi di quelle genti. Comunque, inglese e francese sono parlati dai ragazzi che vengono in Europa perché provenienti da zone occupate e sfruttate dai britannici, dai francesi e anche dai belgi. 


Già: il Congo era il giardino personale del re Leopoldo II e i rappresentanti dell'ambizioso monarca furono assai feroci nel reprimere i ribelli: fruste, pesanti catene, mutilazioni, esecuzioni di massa (per un totale di circa dieci milioni di vittime) hanno portato gli storici a paragonare il re belga a Stalin e Hitler.



Lo sfruttamento di quel territorio è continuato per tutto il XX secolo, nonostante l'indipendenza politica raggiunta negli anni Sessanta e poi la caduta nell'area di influenza socialista - prima sovietica e ora cinese. 

Rame, cobalto, nichel, uranio, tantalio, diamanti: i giacimenti più ricchi si trovano in quei territori tra il Kivu e il Katanga, teatri da decenni di rivolte e guerre fratricide finanziate da chi vuol sfruttare a basso costo le risorse, tanto necessarie per costruire dispositivi high-tech che vanno tanto di moda nel cosiddetto "mondo civilizzato" - anche e soprattutto nelle tasche dei collettivisti di casa nostra: quegli stessi che predicano agli altri (cioè a noi) la decrescita felice, suscitando sensi di colpa per l'eccessivo consumo di risorse e imponendo la purificazione della memoria storica, quasi come se noi fossimo i colpevoli delle scelte (anche scellerate) di chi è vissuto quando ancora non eravamo nati.


Cosa possiamo fare concretamente per non finanziare, seppure indirettamente, lo sfruttamento indiscriminato dell'Africa e degli africani? Io me lo sono chiesto e ho cominciato a rispondere per me, provvedendo ad accontentarmi: ad esempio, mantengo lo stesso telefono (un vecchio Samsung che manda e riceve telefonate e sms, senza macchina fotografica e senza internet: lo vedete sopra) dal 2009, nonostante il datario non fosse programmato per vedere quell'oggetto durare così a lungo (ho impostato il calendario di due anni fa). 

Riesco a vivere benissimo senza l'ultimo modello di I-phone e non mi sento un cavernicolo ... e questo vale anche per tanti altri ammennicoli tecnologici dei quali ho imparato a fare a meno. L'unica cosa che consumo in quantità "industriali" è la carta (rigorosamente di riciclo), ma sto cominciando a limitarmi anche per quella.

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