Una mia rielaborazione di un'immagine scaricata dal web e attribuita all'archivio de L'Unità.
Riporto qua sotto la seconda parte di un breve testo che ho proposto qualche mese fa, nel corso di una conversazione pubblica all'Università popolare, per ricordare i due gravi disastri industriali accaduti nel 1976 a Seveso e a Manfredonia.
Il disastro di Seveso, con la sua diossina e la cloracne, è ricordato forse molto di più rispetto all'incidente di Manfredonia, dai media e dall'opinione pubblica.
Non voglio indagare le ragioni di ciò: mi limito a ricordare l'infausto evento e a rammaricarmi per il fatto che anch'esso ha contribuito a dare della Chimica un'immagine distorta, quando le cause dovrebbero essere ricercate nell'errore umano e nella scelte dettate dalla politica - che ha imposto e continua a imporre figure indegne di ricoprire certi ruoli, la cui inettitudine è pagata dalla collettività.
Per augurarvi buon weekend, l'ultimo di settembre, vi partecipo questa descrizione umoristica dell'acido nitrico data da Alberto Cavaliere nella sua osannata Chimica in versi.
Clikkàte per ingrandire!
Quando il poeta accenna all'acido nitrico sintetico, si riferisce alla via usata attualmente per produrlo, che riassumo nei seguenti punti:
l'azoto atmosferico è combinato con l'idrogeno per formare l'ammoniaca;
l'ammoniaca reagisce con l'ossigeno su reti di platino-rodio per dare ossidi di azoto;
gli ossidi di azoto sono assorbiti in acqua per dare acido nitrico;
l'acido nitrico è successivamente concentrato per distillazione con acido solforico concentrato.
Un tempo l'acido nitrico era ottenuto per distillazione di nitrati (i suoi sali) con acido solforico; poi qualcuno tentò di ossidare direttamente l'azoto atmosferico con scariche elettriche e scarso successo.
Oggi si procede come sopra descritto, grazie a Wilhelm Ostwald (1853-1932), il chimico tedesco che mise a punto il processo.
Ulteriori brevetti furono sviluppati in seguito: tra i protagonisti dello sviluppo dell'industria dell'azoto troviamo l'ingegnere italo-svizzero Giacomo Fauser.
Uno dei primi impianti per la produzione di acido nitrico sintetico fu realizzato a Sinigo (Merano) dalla Montecatini. Aria pulita e acqua dolce; energia idroelettrica e forza lavoro meticolosa e dedita: ecco quel che aveva da offrire la località nel cuore dell'Alto Adige alla più importante industria di fertilizzanti e dei prodotti chimici di allora. Questa è la foto dello stabilimento dall'alto (tratta da un vecchio libro di chimica per la scuola superiore che conservo nella mia biblioteca).
A proposito di industria bellica: a questo link QUI scopriamo che in quei capannoni si nascondevano altri terribili segreti... militari, ovviamente.
Il fascino di uno spettacolo pirotecnico nasconde un patrimonio di conoscenze che deve molto alla Chimica, anche se molte di queste conoscenze sono state accumulate nel corso dei secoli per via empirica.
Ippolito Caffi, Spettacolo pirotecnico a Castel Sant'Angelo in Roma.
La polvere da sparo, con il suo usopirotecnico, era nota ai cinesi; in Europa fu riscoperta da Ruggero Bacone (1214-1294) o forse dal quasi leggendario Berthold Schwartz (1318-1384), monaco di Friburgo in Brisgovia.
La varietà di colori ed effetti è legata al sapiente uso di composti di vari elementi chimici (oltre a salnitro, zolfo e carbone), alcuni dei quali sono rappresentati nella figura sottostante.
Un tempo a scuola si mostravano i saggi delle perle di borace e soprattutto i saggi alla fiamma: è nota la capacità di alcuni elementi di impartire colorazioni caratteristiche alla fiamma ossidante di un becco Bunsen. Tali colorazioni sono proprie di quell'elemento e permettono di riconoscerlo con una semplice tecnica di analisi qualitativa.
Forse è familiare il colore giallognolo della fiamma del sodio, che possiamo notare quando l'acqua della pasta deborda dalla pentola e finisce sulla fiamma del fornello a gas in cucina.
Meno familiare ai più è la fiamma (aria-acetilene) dell'Assorbimento Atomico - espressione che qui uso per indicare in modo improprio lo strumento per eseguire analisi qualitative e quantitative di assorbimento, emissione e fluorescenza, e che vi mostro in un breve video catturato durante una pausa dalle attività didattiche al terzo anno di università (bei ricordi...).
Il colore verde è dovuto qui al cloruro di lantanio, aggiunto alla soluzione acida per minimizzare l'effetto di eventuali interferenti.
Dedico oggi qualche pensiero a Joseph Louis
Gay-Lussac, uno dei più grandi chimici del XIX secolo, professore alla Sorbona
e al Politecnico di Parigi.
Nato il 6 dicembre 1778 a Saint Leonard, primo dei cinque
figli dell'avvocato Antoine Gay (che aggiunse il toponimo Lussac al cognome in
quanto possidente di alcuni terreni iquel villaggio), compì i primi studi in casa sotto la guida di un
precettore.
Dotato d'ingegno non comune, Joseph Louis si recò a Parigi, ove studiò
sotto la guida di Berthollet, collaboratore di Lavoisier, laureandosi in
ingegneria civile.
Le sue prime ricerche furono dedicate allo studio dei gas.
Compì avventurose ascensioni in mongolfiera per rilevare le caratteristiche
chimico-fisiche dell'atmosfera a diverse altezze.
L'ascensione più celebre,
effettuata il 16 settembre 1804, (alcuni storici anticipano di due giorni la data) lo portò fino a 7016 metri sul livello del
mare, senza bombole d'ossigeno e protezioni di altro genere.
Questi studi lo portarono a formulare due celebri leggi alle
quali è legato indissolubilmente il suo nome e che fanno tuttora disperare gli
studenti di chimica alle prime armi.
La prima legge correla temperatura e pressione di un gas:
La legge è verificabile con un esperimento semplice, raffigurato sotto:
La seconda legge è nota come legge dei volumi di combinazione di sostanze allo stato gassoso: i volumi di reagenti e prodotti, alle stesse condizioni di temperatura e pressione, stanno tra loro in rapporti di numeri interi e piccoli.
In seguito si dedicò a studi sull'elettricità e sul
magnetismo; studiò i composti del fosforo, degli alogeni (preparando numerosi
composti dello iodio da poco scoperto ad opera di Courtois) e dei metalli
alcalini; con Thenard preparò il boro, contemporaneamente a Davy in
Inghilterra, per azione del potassio sull'acido borico fuso (1808).
Studiando l'acido cianidrico (HCN) e determinandone la
composizione, scoprì il cianogeno (C2N2) e formulò una nuova teoria sulla
composizione degli acidi, formati da uno o più atomi di idrogeno e un radicale
caratteristico, che può essere un singolo elemento oppure un raggruppamento di
elementi diversi. Così, secondo questa teoria, l'acido cloridrico (HCl) sarebbe
formato da un H e da un radicale cloro Cl; l'acido nitrico (HNO3) da un H e un
radicale NO3; l'acido solforico (H2SO4) da due H e un radicale SO4.
Proprio alla sintesi industriale dell'acido solforico Gay
Lussac dette un notevole contributo, introducendo un sistema che permetteva di
recuperare e riciclare gli ossidi di azoto nelle camere di piombo: oggi la cosa
riveste solo importanza storica, dato che l'acido solforico si produce in altro
modo, ma le camere di piombo rimasero in funzione fino a metà del secolo del
secolo scorso.
L'intuizione della teoria dei radicali fu di... radicale
importanza per la nascita e lo sviluppo della chimica organica: la reattività
delle molecole organiche viene tuttora descritta in base alla presenza in esse
di gruppi funzionali caratteristici.
Ho concluso il post precedente citando cromo, molibdeno, tungsteno e renio - elementi del blocco d. Voglio dedicare qualche riga all'insieme di questo blocco e in particolare agli elementi di transizione.
Eccettuate la triade scandio, ittrio e lantanio (che nello stato di ioni trivalenti non hanno elettroni negli orbitali d) e la triade zinco, cadmio e mercurio (che nello stato di ioni bivalenti hanno gli orbitali d completamente occupati), consideriamo gli elementi a partire dal titanio.
(dagli appunti di lezione da me rielaborati in un file *.pdf)
Ora, ammiriamo una serie di fotografie (prese per la maggior parte dal web) che mostrano i colori dei composti di alcuni elementi della prima serie di transizione nei vari stati di ossidazione.
Cominciamo dal vanadio, elemento che prende il nome da Vanadys, dea nordica della bellezza.
Segue il cromo, il cui nome deriva dal greco chroma = colore. Nella parte superiore osserviamo i colori dei composti del cromo esavalente; nella parte sottostante, quelli del cromo trivalente.
Proseguiamo con il manganese...
... di cui vi propongo anche questa immagine per apprezzare meglio le sfumature di rosa tipiche dei composti nello stato di ossidazione +2.
La rodocrosite è carbonato di manganese (II) presente in natura come minerale e deve il suo nome al colore rosa (= rhòdon, in greco). Se ne volete un campione per la vostra collezione di minerali, acquistatela presso il negozio eBay del dr. Luca Esposito, geologo ed esploratore.
Anche il nome dato all'elemento rodio, elemento della seconda serie di transizione, ricorda il colore rosa (= rhòdon in greco) delle soluzioni di alcuni suoi composti. Nel pallone al centro della foto sotto vedete invece una soluzione di un composto di rodio (III) in metanolo.
Spesso, di colore giallo sono invece i composti di palladio (II), tanto importanti per la catalisi: ma di questo ho detto altrove e ancora dirò, in futuro.
Particolare di una foto scattata dal dr. Luca Pietrobòn (Mestre, novembre 2014)
Spiegare le moderne teorie sulla costituzione della materia non è facile. Ancora di più, non è certamente facile proporre qualche idea a un pubblico di non addetti ai lavori - come possono essere gli studenti di una classe della scuola secondaria oppure i numerosi presenti che accorrono alle lezioni delle università popolari. Con questo post mi propongo di tentare un'esposizione divulgativa (e pertanto gravata da molti limiti) dell'evoluzione dei modelli atomici.
QUI, parlando di Dalton, ho proposto uno specchietto che riassumeva la sua ipotesi atomica della materia, la quale interessò i chimici del XIX secolo.
Nel 1860, al celebre congresso di Karlsruhe, Stanislao Cannizzaro (1826-1910) distribuì copie a stampa del suo celebre Sunto di un corso di filosofia chimica (pubblicato due anni prima) e propose ai chimici di tutta Europa la distinzione tra atomo e molecola per calcolare in modo corretto i pesi atomici degli elementi allora conosciuti.
Una molecola di idrogeno è formata da due atomi di idrogeno tenuti assieme da una forza chiamata legame chimico; così anche una molecola di azoto, di ossigeno, di cloro, di bromo.
Se, come supponeva Amedeo Avogadro, volumi uguali di gas diversi, alle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole, si spiega allora perché sperimentalmente occorrono:
un litro di idrogeno e un litro di cloro per formare due litri di acido cloridrico;
due litri di idrogeno e uno di ossigeno per formare due litri di acqua;
tre litri di idrogeno e uno di azoto per formare due litri di ammoniaca; etc.
Queste evidenze sperimentali non avrebbero senso se l'unità costitutiva di ciascun gas fosse monoatomica: da un litro di idrogeno e uno di cloro si dovrebbe formare solo un litro di acido cloridrico. Infatti: H + Cl = HCl. Analogamente, negli altri due casi, ci si attenderebbe la formazione di un litro di composto e non di due - come avviene in realtà.
Tuttavia, nonostante la teoria atomica interpretasse correttamente i dati di vari esperimenti, erano molti gli scienziati (anche autorevoli) che verso la fine dell'Ottocento ancora non credevano all'esistenza degli atomi. "L'atomo è un utile finzione" - affermava Ostwald.
Boltzmann non sopportava che il modello atomico della materia fosse messo in discussione e ne fu tanto amareggiato che morì suicida gettandosi nell'Adriatico a Duino (Trieste).
Arrhenius e altri avevano iniziato a studiare la conducibilità delle soluzioni, spiegata con la teoria della dissociazione elettrolitica di acidi, basi e sali in anioni e cationi.
Crookes e altri studiavano invece la scarica elettrica nei gas rarefatti; tra questi, Thompson osservò che la scarica era deviata da un campo elettrico verso la piastra con carica positiva. Egli suppose che la scarica fosse composta di particelle con carica negativa, chiamate elettroni, di cui misurò il rapporto massa/carica, e immaginò la materia (elettricamente neutra) come un panettone, dove la pasta è carica positivamente e i canditi (gli elettroni con carica negativa) sono sparsi al suo interno (1). Correva l'anno 1897.
Nel 1911, un allievo di Thompson, il fisico neozelandese Ernst Rutherford (1871-1937), corresse l'ipotesi del maestro, annunciando il modello planetario: la carica positiva è concentrata nel nucleo dell'atomo (che poi si scoprirà essere formato da due tipi di particelle: i protoni con carica + e i neutroni con carica 0), mentre attorno ruotano gli elettroni, come pianeti attorno al sole (2).
Questo modello interpretava i risultati di un esperimento celebre: particelle alfa, con carica positiva, emesse dal radio (scoperto dai coniugi Curie poco prima, nel 1898) e sparate su una lamina d'oro, la oltrepassavano come se non ci fosse niente a ostacolare il loro cammino - a parte qualcuna che era respinta indietro. Rutherford concluse che la massa di un atomo era concentrata nel nucleo, attorno al quale ruotavano gli elettroni. Il nucleo, carico positivamente, respingeva indietro qualche particella, ma le altre passavano indisturbate nel vuoto tra un nucleo e l'altro.
Nel 1913, un allievo di Rutherford obiettò che, se l'elettrone è una particella carica in movimento attorno al nucleo, secondo la fisica classica, esso muovendosi genera un campo; ma generando un campo perde energia; perdendo energia subisce progressivamente una maggiore forza di attrazione da parte del nucleo finendo per collassare su di esso. Ciò in realtà non accade e pertanto questo giovane suppose l'esistenza di orbite stazionarie di forma circolare, presso le quali trovare gli elettroni. Chiamò tali orbite strati o gusci (shell): K, L, M, N, etc.
Gli elettroni possono saltare tuttavia da uno strato all'altro assorbendo o emettendo un fotone di energia appropriata, pari alla differenza di energia tra i due livelli - e non per frazioni di essa, ma solo per multipli interi: un elettrone opportunamente eccitato può passare da un'orbita a un altra, ma mai stazionare tra due orbite. In questo modo si cercava di interpretare i dati raccolti mediante gli studi di spettroscopia, iniziati da Bunsen e da Kirchoff cinquant'anni prima. In estrema sintesi, è questo il modello atomico di Bohr (3).
Sommerfeld correggerà Bohr, ipotizzando l'esistenza di orbite ellittiche; tuttavia, ulteriori esperimenti di spettroscopia, condotti da Zeeman e da Stark, metteranno in crisi anche questo modello.
Werner Heisenberg (1901-1976), allievo di Bohr, sviluppò un modello per spiegare il moto dell'elettrone, noto come meccanica delle matrici. Per Heisenberg non è possibile conoscere allo stesso tempo posizione e velocità dell'elettrone (principio di indeterminazione).
Se non è possibile conoscere esattamente dove si trovi l'elettrone, è tuttavia possibile calcolare la probabilità massima che esso si trovi presso il nucleo dell'atomo (Born). La probabilità è associata al quadrato del modulo di una funzione d'onda, soluzione accettabile di una complessa equazione proposta nel 1926 da Erwin Schroedinger (4).
L'equazione di Schroedinger può essere risolta in modo esatto per atomi con un solo elettrone (atomo idrogenoide); per atomi con due o più elettroni si ricorre alle funzioni di Slater, che permettono soluzioni sufficientemente concordanti con i dati sperimentali.
Se con l'equazione di Schroedinger descrivo il singolo elettrone presso il nucleo dell'atomo idrogenoide, perché non è possibile adattare il modello alla coppia di elettroni di legame condivisa tra due nuclei di due atomi in una molecola? E' quanto ha fatto Linus Pauling (1901-1994) nel suo più celebre lavoro, La natura del legame chimico, poi perfezionato da autori successivi.
In una molecola di idrogeno, i due atomi condividono una sola coppia di elettroni; così nel fluoro, cloro, nel bromo, nell'acido cloridrico. Si definisce un legame semplice.
In una molecola di ossigeno, i due atomi condividono due coppie di elettroni (legame doppio). In una molecola di azoto, le coppie condivise tra i due atomi sono tre (legame triplo).
Esistono legami quadrupli? Beh, si. Esistono. Nell'acetato di cromo (II), tra i due atomi di cromo si stabilisce un legame quadruplo. Altri legami quadrupli sono stati descritti, negli Anni Sessanta, da Frank Albert Cotton (1930-2007) in composti di renio, molibdeno e tungsteno.
Comesi è potuto intuire considerando gli argomenti accennati negli ultimi post, la
catalisi gioca un ruolo critico nella raffinazione del petrolio greggio per
ottenere composti chimici, carburanti (come benzine, gasoli, oli combustibili)
e lubrificanti. Più del 60% dei prodotti petrolchimici e del 90% dei processi
sono catalitici. Questi processi catalitici hanno un grande impatto
sull'economia mondiale.
I più
importanti processi catalitici nella raffinazione del petrolio includono:
hydrotreating, per rimuovere zolfo, azoto e
derivati metallici;
hydrocracking, per rompere le molecole degli oli pesanti
in unità a più basso peso molecolare; per rimuovere contaminanti come
composti contenenti zolfo, azoto, ossigeno; per incrementare il contenuto
di idrogeno degli idrocarburi prodotti;
cracking catalitico, per spezzare le molecole
degli idrocarburi C30-C40 in idrocarburi più
piccoli, che compongono la benzina, il diesel, gli oli combustibili, il
carburante per gli aereoplani e gli intermedi per l'industria chimica;
reforming catalitico, per incrementare il numero
di ottano dei carburanti;
isomerizzazione degli alcani a cinque e sei atomi
di carbonio a isoalcani, per incrementare il numero di ottano dei
carburanti;
isomerizzazione del n-butano a isobutano, che è
quindi usato per l'alchilazione con il propene e il butene per ottenere
ottani ramificati costituenti le benzine.
Anche se
molti di questi processi risalgono storicamente a sessanta-settanta anni or sono,
catalizzatori, reattori e tecnologie sono cambiate considerevolmente in questo
arco di tempo e cambieranno anche più rapidamente in futuro. In altre parole,
queste tecnologie non sono, come qualcuno aveva supposto, nella fase del
massimo sviluppo.
La tutela
dell'ambiente e del lavoratore e le richieste di riformulare i carburanti in
modo che contengano meno zolfo, meno benzene e aromatici (ma mantengano allo
stesso tempo un alto numero di ottano) costringono a migliorare lo studio sui
processi catalitici sopra ricordati.
Lo
sviluppo di nuovi catalizzatori che elevino selettività, rese e tempi di vita
degli stessi è una delle priorità per l'industria della raffinazione.
Catalizzatori più rispettosi dell'ambiente sono stati sviluppati per
l'alchilazione e l'hydrotreating; anche l'attenzione per il riciclo dei
catalizzatori è divenuta più importante.
Una
previsione a lungo termine (20-25 anni) auspica l'impiego di nuove chimiche,
nuove famiglie di catalizzatori e nuovi processi. La raffineria di petrolio
evolverà a un grande impianto per trattare gas naturale e petrolio al fine di
produrre derivati di alta qualità, inclusi idrogeno, metano, benzine e gasoli, oltre
che prodotti chimici e fonti energetiche da sfruttare meglio di quanto finora
si sia fatto.
cfr. C.H. Bartholomew, Fundamentals of industrial catalytic processes, cap. IX, Wiley, II edizione, p. 695
L'eritrene,
C4H6, o pirrolilene o 1,3-butadiene o divinile:CH2=CH-CH=CH2è un gas che si trova in piccole quantità nel gas illuminante.
Si può
ottenere dalla pirrolidina oppure scaldando l'eritrite con acido formico ed
anche facendo passare una miscela di acetilene e etilene per un tubo di
porcellana scaldato al rosso. Si può polimerizzare dando origine a una sostanza
simile al caucciù.
In
queste poche righe, Molinari descriveva il butadiene, a pag 167 del suo Trattato
di chimica generale e applicata all'industria, vol. II: Chimica Organica,
tomo I, Hoepli, Milano, 1927.
Oggi al medesimo composto sono dedicate pagine e pagine, vista
l'importanza che riveste nell'industria della gomma: nelle sigle SBR o ABS, la
B sta proprio per butadiene.
Nel 1913 fu pubblicato un trattato poi divenuto un classico
riferimento per gli studi sulla gomma sintetica. Esso raccoglieva i risultati
dei lavori iniziati tre anni prima dal russo Sergei Lebedev, al quale dobbiamo
la polimerizzazione del butadiene catalizzata da sodio metallico. Il prodotto
ottenuto fu ribattezzato Buna (butadiene-sodio).
Il butadiene era noto dal 1863, quando fu descritto da Caventou, un
chimico francese. Lebedev fu il primo a polimerizzare il butadiene: tuttavia,
per ottenere una gomma utilizzabile commercialmente, bisognerà attendere il
1929, quando due chimici tedeschi scopriranno il copolimero Stirene -
Butadiene, che è alla base della gomma SBR (ove R sta per rubber).
Agli anni Cinquanta risale invece la gomma ABS, ove
l'acrilonitrile è aggiunto a butadiene e stirene.
La possibilità di sintetizzare industrialmente la gomma,
senza ricavarla per lavorazione del caucciù, richiese maggiori quantità di
butadiene.
Sempre Lebedev, tra il 1926 e il 1928, mise a punto un
metodo per ottenere direttamente il butadiene dall'alcool etilico. L'alcool
etilico necessario era ottenuto per fermentazione delle patate: per questo i
chimici europei si burlavano dei russi che facevano gomma con le patate.
Lebedev conduceva il suo processo a 400°C, operando con
opportuni catalizzatori che favorissero disidratazione e deidrogenazione.
Originariamente Lebedev usava MgO-SiO2, ma ulteriori studi
successivi hanno mostrato che il migliore è pentossido di tantalio supportato su
silice.
Buona parte del butadiene, C4H6, è
oggi ricavato dai processi di steam cracking e dalla deidrogenazione di butano,
C4H10, e di buteni, C4H8.
Chi fu Lebedev? Nato a Lublino nel 1874, studiò a Varsavia.
Lavorò come chimico a San Pietroburgo, nella fabbrica di margarina. Nella
stessa città ottenne diversi incarichi come docente. Visse gli anni della
Rivoluzione e vide mutare San Pietroburgo in Leningrado, ove morì nel 1934.
La sua idea di ricavare il butadiene da fonti naturali è
oggigiorno molto di moda: si sente parlare spesso di bioetanolo, convertibile
in altri intermedi mediante opportunetecnologie catalitiche.
Angelici, Weckuysen e Broijnincx, dell'università di
Utrecht (Olanda) hanno recentissimamente approfondito gli aspetti riguardanti
la conversione del bioetanolo in butadiene, cercando di attualizzare il vecchio
lavoro di Lebedev.
In qualche post precedente ho accennato all'idrogenazione, una reazione importantissima che consiste nell'addizionare idrogeno a un legame insaturo per ottenere il corrispondente composto saturo.
Un notevole interesse industriale è rivestito anche dalle reazioni di deidrogenazione. Esse consistono nella perdita di idrogeno da parte di composti organici - che aumentano il loro grado di insaturazione.
La deidrogenazione può essere:
d. termica: favorita termodinamicamente e cineticamente ad alte temperature (è una reazione endotermica), decorre con meccanismo radicalico, porta alla formazione di molti prodotti e di coke; per abbassare le pressioni parziali e prevenire la formazione di coke si aggiunge vapore acqueo surriscaldato;
d. ossidativa: nella miscela di reazione è immessa una giusta quantità di ossigeno per ossidare l'idrogeno che si forma ad acqua; la reazione è esotermica e libera molto calore;
d. catalitica: opera in condizioni meno drastiche, si ha minor formazione di co-prodotti e di coke (che avvelena il catalizzatore, il quale deve essere rigenerato ciclicamente);
d. enzimatica: la reazione avviene in condizioni blande negli organismi viventi ed è catalizzata dalle deidrogenasi, che trasferiscono H dal substrato a opportuni accettòri (NAD, FAD). Esempi classici sono dati dalla trasformazione dell'acido lattico ad acido pirùvico...
... e dalla trasformazione dell'etanolo in acetaldeide e ad acido acetico (fermentazione acetica):
La maggior parte dei processi di interesse industriale coinvolge reazioni in fase gassosa: reagenti e prodotti di interesse sono mostrati nello specchietto sottostante.
In particolare, negli USA l'etilene è prodotto principalmente per deidrogenazione (termica o catalitica) dell'etano, mentre in Europa e nei paesi del Medio Oriente si preferisce ottenerlo per steam-cracking della Virgin-Naphta (cfr. R.M. Baker, & D. L. Passmore. (2012, August 16). Cracking the ethane).
Molti sono i derivati dell'etilene di importanza commerciale (vedi schema sottostante): questo ne giustifica l'elevata richiesta di mercato.
Il processo CATOFIN è usato per ottenere propilene, n-buteni e isobutene via deidrogenazione di propano, n-butano e isobutano, rispettivamente.
Discende dal processo CATADIENE, pensato da Houdry per deidrogenare il n-butano a butadiene, necessario per l'industria degli elastomeri.
Oggi il butadiene è ottenuto principalmente per deidrogenazione ossidatìva dei butèni lineari - processo assai meno dispendioso in termini energetici rispetto al precedente.
Il processo PACOL-OLEX è uno dei più importanti tra quelli messi a punto per la produzione di alfa-olefine lineari, destinate all'ottenimento di alchìl-benzen-solfonati, necessari alla produzione di detergenti biodegradabili.
Degli altri processi (refòrming, stirene) si è detto in altre sedi. Solo un ultimo richiamo merita di essere fatto per accennare a un confronto tra le condizioni in cui avviene la deidrogenazione catalitica degli alcoli ad aldeidi: drastiche nell'industria (a T = 400°C) e blande negli organismi viventi (a T = 37°C nel corpo umano).
Magari potessimo trovare un catalizzatore che lavora per noi facendoci risparmiare "calorie" ! QUI qualcuno racconta che ci ha provato...