sabato 30 marzo 2019

Piccola e personale riflessione sull'insegnamento della Chimica Organica

Non si può insegnare la Chimica Organica esclusivamente in funzione della biologia, limitarsi a raccontare la tetravalenza del carbonio, proporre una tabella dei gruppi funzionali e poi parlare di carboidrati, lipidi, proteine e acidi nucleici.


La Chimica Organica ha confini più vasti; anzi, a dirla tutta non ha più nemmeno confini. Forse non ha nemmeno senso distinguerla dal resto della Chimica, se non per regioni didattiche e divulgative.

Già nel XVIII secolo gli studiosi (chiamati ancora filosofi naturalisti) avevano cominciato a isolare le sostanze presenti nei viventi e a distinguerle da quelle del mondo minerale, parlando di chimica vegetale e di chimica animale. Tra i tanti, Gay Lussac aveva osservato che quest'ultima distinzione non aveva ragion d'essere: QUI.

I chimici, agli inizi del XIX secolo, erano tuttavia convinti che le sostanze del mondo vivente potessero formarsi solo grazie a una vis vitalis propria degli organismi e che fosse impossibile ottenerle in laboratorio: qui distinsero la chimica organica come chimica del vivente dalla chimica inorganica - che ha per oggetto il mondo minerale. Questa distinzione, già abbozzata da Stahl e delineata compiutamente da Berzelius, rimase in auge finché Wohler non ottenne l'urea riscaldando il cianato di ammonio, Kolbe l'acido acetico a partire dal carbone e Berthelot molti altri composti: QUI.

L'impulso allo sviluppo della chimica organica venne dalla possibilità di utilizzare il catrame come fonte di intermedi per produrre coloranti, farmaci, esplosivi e poi nuovi materiali - come la bachelite preparata per reazione di fenolo e formaldeide e poi tutte le altre materie plastiche.


Al catrame si aggiunsero il petrolio (la petrolchimica nasce intorno al 1920, per produrre isopropanolo e acetone), l'acetilene (ottenuto per idratazione del carburo di calcio) e il metano. Oggi si cerca di sostituire le fonti fossili con fonti attuali (biomasse) e lo sfruttamento di queste si giova anche degli studi sui microrganismi e sui processi fermentativi da essi attuati.

Al centro dell'organica c'è sempre il carbonio, che si lega a tutti gli elementi della tavola periodica (a scuola ci si limita a raccontare che si lega con idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo… QUI) condividendo o trasferendo elettroni. 

La chimica moderna è la scienza degli elettroni, disposti attorno al nucleo dell'atomo in livelli energetici; quelli del livello più esterno sono detti elettroni di valenza e la loro natura (descritta matematicamente da una funzione chiamata orbitale) giustifica le proprietà chimiche dell'elemento, ossia la capacità di formare legami con altri elementi. I legami condizionano le proprietà macroscopiche della materia. Il carbonio forma catene di legami con altri atomi di carbonio: tali catene possono essere lineari, ramificate o cicliche, sature o insature. 

Gli stessi atomi possono dare più combinazioni per definire strutture spaziali diverse, dalle quali dipende la reattività di ogni molecola, sia essa prodotta da organismi viventi sia ottenuta in laboratorio o negli impianti industriali. 

Una reazione comporta la rottura dei legami tra le sostanze reagenti e la formazione di nuovi legami nei prodotti finali: questa trasformazione comporta scambi di energia (fornita o sottratta), un mezzo di reazione (il solvente) e talvolta l'uso di un catalizzatore o di un inibitore - per restare sulla carta: in laboratorio le cose diventano più difficili, in quanto bisogna separare le diverse sostanze, purificarle e caratterizzarle (oggi con le tecniche spettroscopiche, un tempo con l'analisi manuale).

Tutto ciò premesso, limitare la Chimica Organica al ruolo di "ancilla biologiae" mi pare riduttivo, soprattutto per il modo in cui è effettivamente presentata nei programmi per la scuola secondaria e anche come piccolo modulo in taluni esami universitari. Ovviamente quella espressa è solo un'opinione personale, ma credo che nella sostanza potrà essere condivisa da molti amanti di questo splendido campo di studi.


domenica 24 marzo 2019

In programma...

E domani si ricomincia una nuova settimana di lavoro. Tra gli argomenti che proporrò durante le mie lezioni, ecco il sistema urinario dell'uomo, schematizzato nella scheda che potete trovare qua sotto.

Sarebbe interessante osservare la struttura di un vero rene animale, ma credo che mi accontenterò del modello anatomico (almeno non odora e non va conservato in un frigo di cui non dispongo). 


Mi limiterò pertanto a decantare il genio del grande Marcello Malpighi (1628-1694), il medico di Crevalcore che per primo osservò al microscopio e descrisse i corpuscoli renali, i tubuli escretori degli insetti (che portano il suo nome), i globuli rossi (anche se descrizioni più dettagliate sono state date dal suo contemporaneo A. van Leeuwenhoek), i capillari sanguigni e molti altri dettagli anatomici. Per me è già una gran bella soddisfazione poter parlare di queste cose, non vi pare?

mercoledì 6 marzo 2019

FELICITA'...

… è tornare in classe, domattina, per rivedere colleghi e alunni dopo questo breve ponte di Carnevale. Che ci voleva, senza dubbio. 

Felicità è essere là, tra i banchi, al servizio delle intelligenze di quei giovani, della loro vivacità, della loro speranza.

Felicità è aver studiato tanto e poi poter condividere le cose che ora più si amano con tante persone (e magari appassionare qualcuno).

Felicità è poter raccogliere piccole soddisfazioni ogni giorno: una mano alzata per chiedere una spiegazione, una risposta corretta e talvolta inattesa, un'esperienza personale che dona qualcosa di nuovo a tutti.

Felicità è anche una fatica ripagata, una lezione "venuta bene", un rimprovero servito, una correzione compresa.

Felicità è, infine, maturare la consapevolezza della tanta strada da percorrere ancora, assieme a persone che stimo e apprezzo sempre di più - per tanti motivi che amo scoprire quotidianamente e custodire - e con le quali è bello trascorrere le ore migliori della giornata respirando la stessa atmosfera.

Grazie a tutti

MC


martedì 5 marzo 2019

AVVISO

In concomitanza con le modifiche di Google+ 
(che cominceranno ad essere operative tra un paio di giorni), 
muterò le impostazioni questo blog da "pubblico" a "privato" 
(ristretto a un pubblico di lettori affezionati).

mc

Uno sguardo sull'apparato digerente tra video e schizzi vari

Il seguente video, appartenente alla serie "La macchina vivente", diretta da Christian Baarnard (il medico pioniere dei trapianti di cuore),  illustra il processo digestivo con una rapida sequenza di immagini, alternando un'ambientazione bucolica (nella campagna francese, durante la vendemmia) a un ideale viaggio nel tubo digerente (con interessanti panoramiche di stomaco, intestino tenue e colon catturate con un endoscopio).


Nel breve e seguente video, Piero Angela ci conduce sempre in un viaggio altrettanto ideale attraverso gli organi della digestione: non con l'ausilio di un endoscopio bensì con il microscopio elettronico a scansione e la computer-grafica. 


Trent'anni fa, nell'autunno 1989, egli aveva curato una serie di otto puntate dedicate a "La macchina meravigliosa", ossia il corpo umano, ciascuna delle quali fu costruita con questa tecnica, dove un inviato (il suo alter ego) si calava attraverso l'esofago, contemplava le fossette gastriche, remava tranquillo sul mare di bile nella colecisti e contemplava il tessuto del fegato nel quale si intrecciano numerosi vasi (sotto).


Facendo lezione, trovo interessante avvalermi anche di questi vecchi materiali (specie del secondo video, che è breve) o di immagini presentate in *.ppt oppure ammirate direttamente al microscopio ottico, come ho raccontato QUI

Trovo altresì importante stimolare l'abitudine a realizzare semplici rappresentazioni di organi e apparati (dandone un esempio alla lavagna), come quelle che seguono. 

Il primo esempio che propongo è di Leonardo da Vinci, che rappresenta lo stomaco (al centro della figura) e l'intestino cieco con l'appendice (a destra, in piccolo).


Lo stesso facevano i vecchi cultori dell'anatomia umana, spesso con risultati assai apprezzabili sul piano grafico. Ecco il pancreas rappresentato nel 1663 da Regnier Der Graaf (1641-1673). Da notare: 
  • il dotto di Wirsung, che attraversa l'organo e che fu descritto per la prima volta a Padova nel 1642; 
  • la mancata rappresentazione del dotto pancreatico secondario, che sarà scoperto da Santorini qualche decennio più tardi.

I miei poveri bozzetti sono certamente assai meno apprezzabili, graficamente parlando, e ne sono consapevole: mi accontento che le mie rappresentazioni (alla lavagna) siano efficaci. Ecco quindi il mio schizzo del pancreas nei suoi rapporti con il duodeno, i reni e i grossi vasi dell'addome (perdonate le imprecisioni, ma non è mia intenzione ripubblicare il Netter).


Lo schema sottostante evidenzia invece le principali suddivisioni dell'intestino: in basso a sinistra ho schematizzato un villo intestinale, con il vaso chilifero in giallo (per raccogliere i chilomicroni) e i capillari sanguigni rossi (per raccogliere amminoacidi, zuccheri, vitamine, etc.). 

Mi piace ricordare che il disegno del villo risale ai tempi delle medie e l'ho riciclato inserendolo, lo scorso anno, tra gli appunti per le mie piccole lezioni di fisiologia umana.


I nutrienti assorbiti sono portati al fegato, del quale rappresento in questo modo la vista posteriore.


Sotto, a destra, ecco schematizzato un lobulo epatico, con la vena centrale (che raccoglie il sangue da riversare nella vena cava inferiore in direzione del cuore) e i vasi che giungono dall'intestino (attraverso la vena porta) e dall'aorta (attraverso l'arteria epatica).


Oltre alla schematizzazione (conseguente allo studio delle immagini riportate sui libri di testo e sugli atlanti anatomici), altra attività importante è data dalla sperimentazione, chiaramene non alla maniera di Der Graaf o di Bernard, ma nei limiti imposti da un laboratorio scolastico e dalla sua dotazione. Quanto mostrato nel video QUI è già qualcosa che potrei definire "lussuoso". Altre idee si trovano facilmente su opportuni canali e per ora non mi dilungo.

sabato 2 marzo 2019

YERSIN

Ieri sera, primo marzo, ero piuttosto preso dal preparare le lezioni per queste settimane di scuola: sui microorganismi in seconda, sul sangue e sulla sua composizione in quarta, etc. 

La mia attenzione si è concentrata su alcune malattie causate da batteri patogeni: tra queste, ho ricordato in classe la tubercolosi (dovuta al bacillo di Koch), il colera (dovuto al noto vibrione) e la peste - malattia che accompagna la storia dell'umanità, da quella ateniese nel secolo di Pericle fino alla morte nera (1348), ricordata da Boccaccio, e alla peste del Seicento, raccontata da Manzoni nei "Promessi Sposi" (QUI).

Il bacillo della peste fu scoperto tuttavia solo alla fine del XIX secolo ad opera di un giovane e geniale medico svizzero naturalizzato francese, Alexandre Yersin (1863-1943).
Il padre di Alexandre era un appassionato naturalista: morì a 38 anni per emorragia cerebrale, due settimane prima della nascita del figlio.
Cresciuto dalla madre Fanny nella quiete del cantone di Vaud, Alexandre mostrò fin da bambino di conservare gli stessi interessi del padre per le piante e per gli insetti. 
Si iscrisse alla facoltà di medicina di Marburgo e completò i suoi studi a Parigi, ottenendo la cittadinanza francese, l'abilitazione all'esercizio della professione medica e anche la patente di guida (era appassionato di automobili). 
Fu allievo di Pasteur e lavorò nel suo laboratorio nei mesi in cui fu perfezionato il vaccino contro la rabbia
Ottenne la cattedra di microbiologia: la quieta vita del docente universitario stancava l'avventuroso ventisettenne (!) che lasciò tutto per fare il medico di bordo. Il montanaro svizzero aveva scoperto il mare e se ne era innamorato. Si trasferì in Indocina e lavorò per un po' di tempo sulle navi che facevano rotta tra Saigon e Manila.

Esplorò i territori interni del Vietnam, redigendo accurate mappe; fu il primo ad arrivare in Cambogia via terra (anche gli abitanti locali trovavano più comodo adoperare la via fluviale).

Un'epidemia di peste a Canton (1894) gli offrì l'occasione per studiare i bubboni e scoprirvi dei microbi a forma di bastoncino con i bordi arrotondati: i bacilli della peste, che in suo onore saranno chiamati (lui vivente) Yersinia Pestis. Osservò che si ammalavano non solo gli uomini e gli altri mammiferi, ma anche le mosche.

Ritornò per un periodo a Parigi (1896), dove riuscì a realizzare un vaccino, sperimentato sugli animali e poi (con successo) anche sull'uomo: Yersin fu il primo medico a salvare un appestato.

Decise di stabilirsi definitivamente in Vietnam, dove diresse l'ospedale di Hanoi. Si fece costruire una casa a Nha Trang, con annesso un piccolo osservatorio astronomico e molti campi dove coltivava, con l'aiuto degli agricoltori locali, piante medicinali (tra le quali anche erithroxylon coca) e l'Hevea brasiliensis: l'albero della gomma, di cui raccoglieva il lattice per venderlo alla Michelin. 

Nella sua casa morì, prossimo a compiere ottant'anni, il 1° marzo 1943. La sua tomba è meta di pellegrinaggio per molti vietnamiti. 

La sua vita avventurosa è un po' invidiata da chi vi scrive, comodamente adagiato nella quieta mediocrità di un cittadina di provincia e tormentato dalle conseguenze di scelte che ora più che mai si rivelano sbagliate e irrimediabili. Ma questa è un'altra storia, tediosa e certamente meno edificante di quella del grande Yersin.