domenica 30 settembre 2018

Ve-Nice start up: un video.


Un piccolo video per raccontare un grande progetto.
Congratulazioni alla Prof.ssa Signoretto e al suo staff!

venerdì 28 settembre 2018

Piccola cronistoria delle teorie sul Legame chimico

QUI avevo raccolto alcuni schemi (pubblicati in rete oppure preparati da me) sul legame chimico, ad uso degli studenti della scuola secondaria. 

In questo post cerco di ripercorrere la cronologia delle teorie in merito ad esso, a cominciare dall'ipotesi atomica di Dalton (1803), il quale sosteneva che gli atomi degli elementi fossero mantenuti in contatto nei composti di cui facevano parte da una forte affinità.



Berzelius (1812), dopo aver osservato quanto accadeva nell'elettrolisi dei sali in soluzione acquosa, ipotizzava che nei corpi composti gli atomi degli elementi fossero attratti da forze di natura elettrostatica, distinguendo una parte positiva (rappresentata come ossido del metallo) e una parte negativa (rappresentata come anidride). Questa intuizione, alla base della teoria dualistica, si rivelò essere un'approssimazione che non poteva essere applicata alla totalità dei composti, a cominciare da quelli del carbonio (oggetto di studio della nascente chimica organica).

Frankland (1849) introdusse il concetto di valenza per esprimere la capacità di formare legami, e tale capacità era espressa da un numero: 1 per idrogeno e cloro, 2 per ossigeno e zolfo, 3 per azoto e boro e così via. Qualche esempio:
  • H-Cl è l'acido cloridrico;
  • H-O-H è l'acqua;
  • H-O-O-H è l'acqua ossigenata;
  • H-O-O-S-O-O-H è l'acido solforico.
Possiamo essere (parzialmente) d'accordo sulle prime tre rappresentazioni, un po' meno sulla quarta...


Kekulé ipotizzò la struttura del benzene basandosi sull'idea che il carbonio sia tetravalente (ossia che C formi sempre quattro legami); autori successivi (Le Bel, Paternò, Van't Hoff) hanno sviluppato l'idea del carbonio tetraedrico nel quale ciascuna delle quattro valenze è direzionata ai vertici di un tetraedro.


Lewis (1902) cominciò a immaginare gli atomi degli elementi come cubi (A) che si univano tra loro condividendo un vertice (B), uno spigolo (C) o una faccia.


I lavori di Abegg (1904) sulla valenza; di Rutherford (1911), di Bohr (1913) e di altri permisero a Kossel (1916) di sviluppare la teoria dell'elettrovalenza, indicando la stabilità degli strati atomici esterni di otto elettroni e dando così un'interpretazione dell'affinità chimica. Negli stessi mesi, Gilbert Newton Lewis rimodellò la sua teoria sulla concezione atomica offerta dal modello di Bohr.


Fu tuttavia necessario attendere il lavoro di De Broglie (1923) e l'avvento della meccanica ondulatoria perché apparisse una teoria esplicativa del legame chimico. Questa fu sviluppata dapprima per la molecola biatomica di idrogeno prima da Heitler e London (1927), quindi da Mulliken e Hund (1928). In seguito, questi approcci sono stati generalizzati dando risultati concordanti con i dati sperimentali, ottenuti da misure spettroscopiche o da diffrattometria ai raggi X.

Nel 1939, Linus Pauling pubblicò "The nature of chemical bond". Nella sua recensione al testo di Pauling, Ingold scrisse che il libro avrebbe avuto un posto tutto suo nella storia della chimica moderna. Anche se Pauling avrebbe dovuto attendere altri quindici anni prima di essere insignito del premio Nobel per la chimica proprio "per le sue ricerche sulla natura del legame chimico", la previsione di Ingold non può essere considerata né casuale né fortunata. 

L'approccio di Pauling alla meccanica quantistica, pur se pensato in continuità con il lavoro di Lewis, si distacca fortemente dalle proposte della fisica quantistica dei primi del Novecento, operando alla ricerca di connessioni tra l'idea del legame chimico come generatasi nello sviluppo storico della chimica dell'Ottocento e la sua rappresentazione quanto-meccanica.


L'osservazione che alcune proprietà attribuite agli atomi e ai gruppi funzionali sono trasferibili da una molecola all'altra ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo della chimica. Questa osservazione fornisce una base per schemi di additività di gruppo ed è esemplificata dalla costanza dei contributi di gruppo alle proprietà termodinamiche e spettroscopiche. Ma qual è la base elettronica di questa trasferibilità empirica? 

La teoria quantistica degli atomi nelle molecole (QTAIM), sviluppata dal professor Richard Bader e dai suoi colleghi alla fine del XX secolo (il trattato "Atoms in molecules, a Quantum Theory" è del 1991), si basa su osservabili quantistici come la densità elettronica e le densità di energia per rispondere a tale domanda. 



Altre importanti (e correlate) domande indirizzate da QTAIM includono: 
  • Cos'è un atomo in una molecola o un cristallo? 
  • Come può un atomo o un gruppo di atomi essere trasferibili a volte in potenziali esteriori molto diversi? 
  • Si può definire un legame nelle molecole in modo non ambiguo, specialmente nei casi limite?
Bibliografia essenziale
  • AA.VV. Dizionario di Chimica, Garzanti, voce "Legame chimico"
  • AA.VV. Grande enciclopedia Peruzzo-Larousse, voce "Legame chimico"
  • AA.VV. Storia della Chimica, ed. ENI, 1989 (contributi di E. Torracca e di G. Del Re)
  • G. Masini, Gli architetti delle molecole, Giunti, Firenze, 1972
  • L. Pauling, La natura del legame chimico, Franco Angeli editore, 2011
  • (PDF) An Introduction to the Quantum Theory of Atoms in Molecules. Disponibile al seguente link: https://www.researchgate.net/publication/248696035_An_Introduction_to_the_Quantum_Theory_of_Atoms_in_Molecules [consultato il 28 settembre 2018].

lunedì 24 settembre 2018

Curiosità sulla gomma (e cenni sugli elastomeri)


Il caucciù è un lattice naturale ottenibile da oltre trecento piante dei territori tropicali, tra le quali spicca per importanza l'Hevea brasiliensis. Dal bacino del Rio delle Amazzoni, dove è originaria, questa pianta è stata poi diffusa in diverse regioni e da essa si ricavano i nove decimi di tutta la gomma naturale prodotta al mondo.

La gomma naturale è un materiale appiccicoso e maleodorante: chimicamente è un polimero dell'isoprene (2-metil-1,3-butadiene), idrocarburo di formula bruta C5H8. Lasciamo perdere l'isomeria cis-trans (anzi: Z - E) che distingue la gomma dalla guttaperca e ripercorriamo brevissimamente la storia di questo materiale.

Il primo a trovarne un impiego "di massa" fu Joseph Priestley, nel 1770, quando notò che esso, per abrasione, riusciva a rimuovere i segni di matita: to rub, in inglese, significa strofinare e l'oggetto di gomma usato per cancellare la matita strofinando il foglio fu chiamato rubber.

Nei primi anni dell'Ottocento, lavorare la gomma era ancora difficile: diventava molle e appiccicosa alle alte temperature e dura alle basse. 

Thomas Hancock inventò un masticatore a cilindri concentrici che rendeva la gomma idonea ad assorbire solventi ed additivi; la gomma in soluzione fu impiegata per realizzare tessuti impermeabili e fili elastici.

Charles Goodyear, ossessionato da questo materiale "del futuro", si arrabattava nel tempo libero in esperimenti su esperimenti per migliorarne le caratteristiche. Conduceva i suoi esperimenti in cucina, con il disappunto della moglie. 

1839, febbraio: in una giornata ideale per sperimentare, Charles attese l'uscita della moglie per mettersi a trafficare con reagenti e pignatte, ma la moglie rincasò prima del previsto. Per non farsi cogliere a compiere esperimenti di chimica vicino ai fornelli, Charles infilò frettolosamente nel forno il miscuglio di gomma e zolfo al quale stava lavorando. 
Il forno fu acceso (era pieno inverno...) e il giorno dopo, quando la moglie uscì di casa, Charles recuperò un materiale flessibile e resistente, elastico, insensibile alle variazioni di temperatura, impermeabile all'acqua, facilmente lavorabile e adatto per la preparazione di oggetti di vario tipo.


Casualmente, Goodyear aveva scoperto la vulcanizzazione: un processo che consiste nell'aggiunta alla gomma naturale di zolfo e di altri additivi, seguito da una fase di riscaldamento della miscela per migliorarne le qualità fisiche.  

Goodyear tardò nel chiedere il brevetto e fu anticipato da Hancock. Quando morì nel 1860, lasciò un'ingente quantità di debiti alla famiglia. 

Nel 1898, l'imprenditore Frank A. Seiberling, per la sua azienda che realizzava prodotti in gomma, scelse il nome Goodyear per ricordare lo sfortunato inventore, tanto tenace quanto poco dotato di senso per gli affari.

Intanto, a Milano, da sedici anni era in funzione lo stabilimento fondato dall'ingegner Giovanni Battista Pirelli per produrre oggetti in caucciù vulcanizzato: pneumatici per moto, automobili, biciclette; cavi e quant'altro.


Altrove, nel blog, ho ricordato altri capitoli della storia della gomma:

  • QUI, il trattato di Lebedev (1913), che ottenne la gomma sintetica per polimerizzazione del butadiene (Bu) con il sodio (Na), da cui il nome Buna;
  • la scoperta del copolimero stirene-butadiene, da cui l'acronimo SBR (styrene-butadiene-rubber), da parte di due chimici tedeschi nel 1929;
  • le tecniche di polimerizzazione in emulsione (con iniziatore e tensioattivo), attuate su scala industriale dai tedeschi a Leuna (e anche ad Auschwitz, come racconta Primo Levi in "Se questo un uomo") e dagli italiani a Ferrara, nel complesso industriale della Montecatini, QUI;
  • la nascita dello stabilimento ANIC di Ravenna, nel Secondo Dopoguerra, dove il butadiene era ricavato dal metano (attraverso una serie di intermedi: acetilene, acetaldeide, etanolo) e copolimerizzato con lo stirene nel primo impianto europeo di copolimerizzazione a freddo. Da qui uscì la prima gomma sintetica il 19 novembre 1957.

Altre cose da me ricordate altrove riguardano QUI la scoperta del cloroprene, monomero per la sintesi del neoprene, e QUI la gomma poliuretanica, o PUR, materiale di cui sono fatti svariati oggetti (tra cui i cinturini degli orologi sportivi).


In un prossimo post, dedicherò una parentesi alla gomma butilica e a Giulio Natta, ricordato spesso per il polipropilene isotattico ma meno per gli studi condotti anche su questo importante materiale. 

Al suo genio (e al suo staff) si deve anche la polimerizzazione dell'isoprene in laboratorio per ottenere, grazie ad opportuni catalizzatori, un materiale del tutto simile alla gomma naturale. Correva l'anno 1962 e la scoperta di questa possibilità fu seguita dallo sviluppo di vari processi per produrre industrialmente l'isoprene. 

Ne ricordo uno, in particolare, che muove dalla condensazione di acetilene e acetone in ambiente basico (KOH in ammoniaca liquida), seguita da idrogenazione parziale (da legame triplo a legame doppio), disidratazione - per formare il secondo doppio legame dell'isoprene - e purificazione.




domenica 23 settembre 2018

La Chimica a Brindisi: qualche filmato d'epoca...



Il filmato, per la regia di Giovanni Cecchinato, racconta la nascita del petrolchimico di Brindisi, grande quattro volte la città. Sono mostrati gli scorci dei 29 impianti (nel 1964) costruiti per produrre materie plastiche a partire dal petrolio, trasportato via mare e scaricato, presso il porto industriale, dalle navi cisterna ai serbatoi dell'imponente complesso petrolchimico.


Un gruppo di ragazzi si vede portar via il terreno da loro usato come campetto di calcio: le ruspe sgombrano sassi e sterpaglie e gli operai scacciano i giovanotti, mentre colonne e tubature s'innalzano maestose e la torcia di sicurezza arde ininterrottamente spandendo nell'aria un fumo nero.


Che fare? Forse è arrivato il momento di diventare grandi, lasciare il pallone al pomeriggio della domenica e cominciare a pensare all'avvenire.

Ecco allora che alla fine del video essi si presentano ai cancelli dello stabilimento per chiedere lavoro, indossano la tuta e vanno in aula per imparare il mestiere di operaio del petrolchimico, "la città d'oro, di benessere e lavoro" cantata dalla colonna sonora.


Il tema è ripreso anche in questa prima parte del documentario realizzato dalla RAI, che celebra come la Montecatini abbia investito qualche chilometro a sud di Brindisi rivoluzionando l'economia della città allo sbocco della via Appia.
Interessanti sono le interviste ai giovani, strappati al bracciantato agricolo o all'emigrazione verso l'Alta Italia o verso l'estero: la fabbrica garantisce "una sistemazione per mettere su famiglia".
Mi fa particolarmente sorridere il ragazzo che, abbandonata l'idea di diventare un marinaio, entra in fabbrica ma deve aspettare dieci anni per sposarsi perché non guadagna ancora abbastanza.


Tutto sembra andare per il meglio, almeno fino all'8 dicembre 1877, "la tragica notte del P2T" raccontata nel video qua sotto: una tubatura cede e il propilene, un gas infiammabile usato per produrre materie plastiche, raggiunge la zona dei forni, s'incendia e colora il cielo di arancione con altissime fiamme che distruggono gli impianti e rubano la vita a tre operai.


Quindici anni dopo, un nuovo impianto parte e torna a produrre ancora etilene, propilene e materie plastiche: ma la paura rimane e la diffidenza verso nuove lavorazioni è inevitabile. Il "no al rigassificatore" risuonato più volte qualche anno fa ha le sue più che comprensibili ragioni. 


Resta da chiedersi, se tutti dicono "no" (non solo al rigassificatore, ma anche alla Chimica, alle industrie, al "progresso"...) quali saranno le alternative. Io posi questo interrogativo nel 2015 ai miei allievi all'Università degli Adulti-Anziani di Belluno: "in nome della tutela dell'ambiente, sareste disposti a rinunciare a quanto avete ottenuto, nella seconda metà del secolo scorso, in termini di miglioramento della qualità della vita materiale per tornare a come vivevate al tempo della vostra infanzia?".

lunedì 17 settembre 2018

Due passi sul Col Visentin

Sabato scorso ho accompagnato alcuni amici sul Col Visentin, la cima a sud di Belluno che raggiunge l'altezza di 1764 metri sul livello del mare.


Per raggiungerla, siamo partiti dalla Casera, in Nevegal e abbiamo percorso a piedi il tragitto, seguendo una via carrabile (con jeep o fuoristrada), un po' ripida nel versante iniziale e poi tranquilla fino alla meta.


Se il meteo lo avesse permesso, sarebbe stato possibile ammirare:
  • a sud la pianura veneta e il sole specchiarsi nell'Adriatico; 
  • a nord le punte delle Dolomiti bellunesi.


In compenso abbiamo contemplato la Val Belluna (sopra) e la conca dell'Alpago (sotto).


Al centro della foto vedete il lago di Santa Croce, frequentato da molti appassionati di sport velici e di campeggio, provenienti anche dall'Europa settentrionale.


Riflettevo sul fatto che questa camminata tranquilla, semplice e in sicurezza (non ci sono tratti esposti o attrezzati) è stata da me percorsa negli ultimi anni quasi solamente in compagnia di amici non-bellunesi, per lo più persone conosciute ai tempi (particolarmente felici, se eccettuati gli ultimi mesi) dell'università. 

Tralascio le conclusioni, ma non nascondo che, quando decisi di affrontare un secondo percorso post-diploma, una delle motivazioni più forti fu la speranza di potermene andare dalla cittadina natale, speranza ovviamente disattesa - come, d'altro canto, molte altre e per questo non spero più niente. 

Sarà sempre per colpa della mia  eccessiva "puzza da prete", com'ebbe a dire una nota "mente eletta" dell'italica scienza? 

giovedì 13 settembre 2018

L'IDROFORMILAZIONE COMPIE 80 ANNI


Nel settembre 2013, la Società chimica tedesca (GDCh) ha riconosciuto il sito Werk Ruhrchemie di Oxea come un luogo di importanza storica per la Chimica e questo per commemorare il settantacinquesimo anniversario del brevetto dell'idroformilazione ad opera di Otto Roelen, ricercatore e inventore di questa reazione.


Oxea, la società che gestisce ora il sito industriale, ha anche celebrato l'anniversario con un evento speciale, un libro e una mostra sull'idroformilazione.





Trascorsi cinque anni da allora, ci accingiamo a festeggiare l'ottantesimo compleanno di una reazione di capitale importanza per la storia dell'industria e della scienza chimica.

Il 20 settembre 1938, Otto Roelen di Oberhausen-Holten (Germania) depositò la domanda di brevetto DE 849548, intitolata "Processo per la produzione di molecole contenenti ossigeno". 

Il testo conteneva la prima descrizione dell'addizione di monossido di carbonio e idrogeno ad idrocarburi olefinici in presenza di un catalizzatore (cobalto) a pressione elevata.

Questa reazione, che ha portato alla produzione di aldeidi da materie prime carbochimiche e petrolchimiche, ha posto le basi per la chimica organometallica e per l'applicazione della catalisi omogenea su scala industriale.

La forma abbreviata della denominazione per la reazione di idroformilazione usata fino ad oggi, oxosintesi, deriva dall'ipotesi che qualsiasi olefina potesse essere convertita in aldeide o chetone, rappresentando quindi una via universale per ottenere composti ossigenati.

Roelen ha scoperto il processo di idroformilazione per caso, studiando la reazione di Fischer-Tropsch. Durante gli esperimenti con l'etilene in presenza di ammoniaca nelle condizioni del processo di Fischer-Tropsch, egli ha osservato la deposizione di propionaldimina, un prodotto di condensazione di ammoniaca e propionaldeide.

A differenza di altri ricercatori dell'epoca, Roelen attribuiva la formazione di propionaldeide a una reazione separata che dipendeva dall'aggiunta di etilene al processo, non semplicemente come una reazione collaterale della sintesi di Fischer-Tropsch.

Come catalizzatore, ha usato una miscela contenente cobalto, torio e ossido di magnesio che era comunemente usata per la sintesi di Fischer-Tropsch. Tuttavia, in seguito scoprì che molti altri sali di cobalto erano adatti come precursori del catalizzatore e ipotizzò che il carbonile idruro di cobalto fosse la specie cataliticamente attiva.

Successivamente, Roelen ha ampliato il lavoro sul processo di idroformilazione, considerando come reagenti di partenza le olefine di Fischer-Tropsch, con lunghezze di catena di 11-17 atomi di carbonio, al fine di ottenere alcoli grassi, utilizzati per la produzione di detergenti.

Nel 1940, Ruhrchemie iniziò la costruzione di un impianto di 10.000 tonnellate annue per la produzione di alcoli grassi. La costruzione fu significativamente ostacolata dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l'impianto non divenne mai operativo.

Negli anni seguenti il ​​processo di idroformilazione a base di cobalto è stato ottimizzato e migliorato eliminando sottoprodotti come n- e iso-butanolo (dovuti all’idrogenazione dell’aldeide). Tuttavia, lo svantaggio della bassa selettività per la desiderata aldeide n-butanale è rimasto.

Nonostante tutto il miglioramento del processo oxo basato sul cobalto (complessato con fosfine), divenne evidente, verso la fine degli anni '70 che altre variazioni del processo per l'idroformilazione del propilene erano superiori in termini di conversione e selettività.

Il processo LPO (a bassa pressione), perfezionato dalla Union Carbide e basato su catalizzatori al rodio modificati da un legante fosfinico, era considerato il migliore in termini di selettività (il rapporto n / i ) e costi.

Di conseguenza, Ruhrchemie iniziò il lavoro di ricerca su un processo di idroformilazione basato sul rodio come catalizzatore, che facilitasse il recupero del prezioso metallo. 

Ciò è stato significativamente avviato e caldamente sostenuto da Emile Kuntz, del dipartimento di sviluppo di Rhône-Poulenc.

Nel 1984, il nuovo processo sviluppato entrò in produzione a Ruhrchemie. Questo è un processo bifasico e a bassa pressione, in cui il catalizzatore di rodio, modificato in modo da essere solubile in acqua, si trova nella fase acquosa. È altamente competitivo con altri processi analoghi, con il conseguente miglior utilizzo di energia (il processo è esotermico) e alta selettività (rapporto n / i di 97/3, con un fattore E di 0,04-0,1).



Le aldeidi sono solitamente utilizzate come materiali di partenza per un'ampia gamma di reazioni successive a valore aggiunto. Ad esempio, i corrispondenti alcoli o acidi carbossilici possono essere generati mediante idrogenazione o ossidazione: a loro volta, possono essere utilizzati come materiali di partenza per reazioni di esterificazione.

Un gran numero di ammine differenti può essere ottenuto attraverso l'amminazione riduttiva, incluse varie ammine secondarie o terziarie sostituite, attraverso una "catalisi in tandem", dove lo stesso complesso catalizza sia l'idroformilazione, sia la riduzione finale con idrogeno.



Per ottenere aldeidi complesse, alcoli o acidi carbossilici, le aldeidi ottenute mediante idroformilazione possono subire una reazione aldolica, seguita da idrogenazione, ad esempio, con conseguente formazione di polioli.

Sebbene l'idroformilazione sia ben nota, almeno tra chimici e ingegneri, non si sa molto del suo inventore, nonostante i suoi significativi contributi all'industria in una carriera che gli ha concesso oltre 110 brevetti tedeschi.


Il secondo da sinistra è Otto Roelen; il terzo è Max Planck, il quarto è Fischer.

Durante la sua permanenza a Ruhrchemie, Roelen ha implementato la sintesi di Fischer-Tropsch, ha perfezionato la produzione di HDPE su scala industriale a pressione leggermente elevata usando catalizzatori Ziegler-Natta e l'idroformilazione. Dopo la guerra, fu anche responsabile della pianificazione del sito di Fischer-Tropsch a Sasolburg, in Sud Africa.

Nel 1963, Roelen ricevette la medaglia onoraria di Adolf-von-Baeyer dalla GDCh. Nello stesso anno la Società tedesca per la scienza del grasso gli ha conferito la medaglia Wilhelm-Normann. Venti anni dopo, è stato premiato con una laurea ad honorem dall'università tecnica di Aquisgrana. Roelen è morto il 30 gennaio 1993 a Bad Honnef, a quasi 96 anni di età.

Oggigiorno è quasi impossibile considerare la vita quotidiana senza i prodotti basati sull'idroformilazione. Le aldeidi e i loro derivati, come alcoli, polioli, acidi carbossilici, esteri speciali e ammine, sono utilizzati nella preparazione di rivestimenti di alta qualità, lubrificanti energeticamente efficienti, prodotti cosmetici e farmaceutici, vetri di sicurezza, aromi e fragranze, inchiostri da stampa, adesivi, impregnanti, mangimi, involucri per alimenti e prodotti plastificanti privi di ftalati per PVC e altre materie plastiche. 

Dobbiamo tutto questo alla scoperta del dott. Otto Roelen, che, attraverso un'osservazione attenta e meticolosa, pose le basi per un mercato di prodotti per oltre 12 milioni di tonnellate annue di prodotti oxo.

NOTE
M. Capponi, Uno sguardo sulla catalisi, MAE, Belluno, 2017, pp. 119-121
G. Frey, 75 years of oxosynthesis, QUI
K. Weissermel - H.J. Arpe, Chimica Organica Industriale, trad. di C. Botteghi, Piccin, Padova, 1980.


martedì 11 settembre 2018

Dyson: scienza, libertà ed amicizia.


Fisico eminente e intellettuale naturalmente aristocratico, Freeman Dyson (nato nel 1923) può essere a buon diritto considerato uno fra i testimoni più lucidi e sensibili del nostro tempo. 

Benché pacifista, durante la Seconda Guerra Mondiale lavorò come scienziato civile per l'aviazione inglese. Fu l'esperienza che forse lo segnò di più, portando sotto il faro della sua coscienza una serie di conflitti di difficile soluzione. 

Dyson comprese l'importanza di quella indipendenza o autonomia degli scienziati, di quel loro ribellismo o insofferenza a ogni vincolo, che sono una condizione essenziale per potersi dedicare interamente al proprio compito.



Questo è uno dei motivi per cui, in un libro dal titolo "Lo scienziato come ribelle", Dyson presenta diversi straordinari ritratti di scienziati "ribelli" (Galileo, Franklin, Darwin, Einstein, Sakharov ...): un libro che rappresenta una particolare autobiografia ma anche una cronaca, insieme impietosa e suggestiva, del nostro tempo e che si compendia nell'aforisma: "la scienza è un territorio di libertà ed amicizia in mezzo alla tirannia e all'odio".


mc

mercoledì 5 settembre 2018

I bottoni di Napoleone


Inizio la mattinata con l'ascolto dell'Ouverture 1812 di Tchaikovskij. Il brano racconta musicalmente la vittoria russa sull'esercito napoleonico: la preghiera iniziale dei violoncelli (che intonano un tema musicale preso a prestito dalla liturgia ortodossa: in alcune esecuzioni è intonata da un coro), gli incisi della Marsigliese che annunciano l'arrivo dei francesi (e dei molti giovani soldati raccattati a forza negli stati dominati direttamente o indirettamente da Napoleone: rischiò di essere arruolato anche un ventenne di nome Gioacchino Rossini), lo sviluppo serrato a raccontare la battaglia di Borodino e infine il tripudio degli ottoni (nel video), delle campane e dei cannoni a suggellare la vittoria russa e il ritorno a casa di quel che rimaneva delle aquile azzurre.


Pare che cappotti, calzoni e giubbe delle uniformi dell’esercito francese in Russia avessero bottoni di stagno. Col gelo, lo stagno metallico si trasforma in una polvere grigia non metallica, che è ancora stagno, ma che ha una struttura diversa: si parla di forme allotropiche dell’elemento, che a una certa temperatura si presenta allo stato metallico e ad un’altra ha una struttura diversa, non metallica e friabile.

All’approssimarsi dell’inverno, quando nel Bassopiano Sarmatico le temperature scendono parecchio al di sotto dello zero, come avrebbe potuto un soldato francese sorreggersi i calzoni o chiudersi il cappotto e allo stesso tempo combattere se i bottoni fossero stati di stagno? Non restava che la disfatta, come fu. Quindi potrebbero non essere state la fame e il fuoco, ma solamente il freddo che ha deteriorato i bottoni di stagno a sconfiggere definitivamente Napoleone… 

La «malattia dello stagno» era nota da secoli al nord, soprattutto ai costruttori di organi che usa(va)no il metallo nella fusione delle canne. La malattia dello stagno era nota anche come  peste degli organi, e pare impossibile che Napoleone non ne fosse al corrente. E anche col gelo la polverizzazione dello stagno non è proprio istantanea… 

La bizzarra ipotesi di Penny Le Couteur e di Jay Burreson ha dato il titolo a un libro, I bottoni di Napoleone, dedicato a diciassette gruppi di molecole che hanno cambiato il corso della storia dell’uomo, arrivando a determinare moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana. Questa è la copertina della versione uscita in allegato a "Le Scienze", che a suo tempo avevo letto e acquistato.


Oltre all’infausto esito della campagna di Russia dovuta allo stagno, il lettore sbigottirà di fronte a come un banale incidente domestico con un grembiule detonante ebbe come conseguenza lo sviluppo dei moderni esplosivi e la nascita dell'industria cinematografica; a come la passione degli europei per la caffeina, una molecola che dà una blanda dipendenza, finì per portare alla rivoluzione comunista in Cina. 

Metano, petrolio e guerre che per essi sono state combattute e si combattono tuttora sono stati esclusi. Più che un libro, meriterebbero forse un’enciclopedia a parte.

domenica 2 settembre 2018

Piccolo omaggio a Wilhelm Ostwald

Il 2 settembre di 165 anni fa nasceva Wilhelm Ostwald, premio Nobel per la chimica nel 1909. Scrissi di lui nel mio libro "Uno sguardo sulla catalisi" e riporto il trafiletto a lui dedicato.


Oltre alla catalisi, furono oggetto di interesse di Ostwald altri campi della Chimica Fisica, come la viscosità delle miscele (inventò un viscosimetro per misurarla), l'elettrochimica e la teoria del colore, sul quale scrisse un poderoso trattato.


Ostwald si dedicò anche alla filosofia della scienza: riprese la classificazione delle scienze già intuita da Augusto Comte, dividendole in scienze formali (la logica e le matematiche), scienze fisiche (chimica, fisica, etc.) e scienze biologiche (biologia, fisiologia, psicologia, sociologia). 


Nutriva una sconfinata fiducia nella Scienza (con la maiuscola) e ad essa attribuiva il compito di prevedere e costruire i futuri scenari per l'umanità, con particolare attenzione alle risorse energetiche e all'energia solare.


Nel 1918 aderì alla Massoneria, e diventò Gran Maestro di Loggia. A lui si addicono bene i primi versi del testo della cantata "La gioia massonica" di Mozart, dedicata dall'autore al barone Ignaz von Born, mineralogista e filosofo naturale: "vedi come l'occhio rigoroso dell'osservatore rivela gradualmente le leggi della natura... questa è gioia per il libero muratore".