sabato 28 settembre 2019

LA PRIMA LEZIONE

Ho cominciato il mio annuale ciclo di lezioni all'Università degli Anziani-Adulti di Belluno: intorno alla chimica del vivente.

Ho dedicato la prima lezione alla tavola periodica e ai suoi 150 anni, mostrando come nel suo sviluppo convergano molti contributi.

Il cammino che ha condotto alla celebre tavola, quasi un'icona della Chimica contemporanea, parte da molto lontano: per me risale ancora a Talete e alla ricerca dell'arché, il principio originante. Al grande filosofo milesio seguirono i suoi allievi, Anassimene e Anassimandro, e altri autori. 

Il pensiero di Aristotele presenta acqua, aria, fuoco e terra come gli elementi che risultano dalla combinazione di  quattro qualità: caldo, freddo, secco ed umido
Ai quattro elementi lo Stagirita ne aggiunge un quinto, l'etere, che riempirebbe i cieli, dimora delle divinità: l'etere fu l'ultimo elemento di Aristotele ad essere detronizzato, alla fine del XIX secolo.

Gli altri quattro furono demoliti qualche secolo prima, a partire dal Rinascimento, epoca nella quale grandi spiriti solitari (e assai audaci) osarono sfidare l'autorità degli antichi: Paracelso, medico svizzero, bruciò i libri di Galeno in piazza e presentò tre elementi fondamentali (sale, zolfo, mercurio) al posto di quelli aristotelici.

A metà del  XVII secolo, Robert Boyle, figlio del pragmatismo inglese, porrà in dialogo gli aristotelici con i paracelsiani nella sua opera più celebre, "Il chimico scettico", riconoscendo l'esperimento come l'unica autorità nel campo scientifico anche nella nascente chimica.

Gli esperimenti riempivano le giornate dei filosofi naturalisti, come Black, Hales, Priestley e Lavoisier. A quest'ultimo dobbiamo una classificazione degli elementi in metalli e non metalli, in base alla capacità di combinarsi con l'ossigeno per formare alcali o acidi. 
Da buon figlio dell'Illuminismo, Lavoisier cercava di collocare ogni oggetto al suo posto secondo i disegni di una mente ordinatrice in grado di indicare ogni oggetto con il nome più appropriato: la scienza è una lingua ben fatta - scriveva Condillac nella sua Logica.

Importante è il contributo del tedesco Dobereiner che compì una serie di determinazioni qualitative, rilevando la legge delle triadi: dall'ordine degli oggetti emerge un refrain, che si ripresenta, come il divenire secondo Hegel, nel suo susseguirsi di tesi (metallo), antitesi (non metallo) e sintesi (del composto). Da ricordare che Dobereiner insegnava chimica a Jena e, nonostante l'impostazione pratica del suo insegnamento, sicuramente ha risentito dell'humus culturale dei grandi idealisti tedeschi che in quell'università si avvicendavano nel ricoprire le cattedre di filologia e di metafisica.

Nel 1865, oltre il Canal della Manica, il chimico John Newlands osservò che gli elementi stavano in rapporto di ottava - come le note sulla tastiera del pianoforte - e pubblicò le sue osservazioni in una paginetta che gli guadagnò il biasimo della comunità scientifica britannica (la quale dovette ricredersi dopo la pubblicazione del lavoro di Mendeleev).



Nella lontana San Pietroburgo, Dmitri Mendeleev si accingeva a dare alle stampe il testo per il suo corso di chimica: era la primavera del 1869. Forte delle osservazioni degli autori precedenti e di una sua spiccata passione per il gioco del solitario, il geniale chimico russo compose un mosaico con le tessere che riportavano gli elementi noti al tempo, riconoscendo una certa periodicità di alcune proprietà fisiche (densità, punto di fusione) e chimiche (formule di ossidi e di cloruri). Egli dispose gli elementi in ordine crescente di peso, incolonnò quelli che mostravano le medesime proprietà e lasciò degli spazi vuoti per elementi che sarebbero stati scoperti in futuro, confermando le capacità predittive del suo sistema periodico. Qualcosa di simile fece anche Meyer, in Germania, nello stesso periodo. 


Da che cosa dipendono le proprietà degli elementi? Oggi possiamo rispondere con una certa sicumera: dalla disposizione degli elettroni attorno al nucleo atomico - e in particolare degli elettroni di valenza. Toccò a Glenn Seaborg ridisegnare la tavola periodica di Mendeleev nella versione grafica attuale: lo stesso Seaborg arricchì la tavola di nuovi elementi non esistenti in natura ma fabbricati in laboratorio - alcuni da lui stesso scoperti.



martedì 17 settembre 2019

UNA PASSEGGIATA VICINO A CASA

Questo pomeriggio di settembre è iniziato con una passeggiata nei boschi della Valmaòr: così è chiamata la zona compresa tra la frazione di Cadola, Piaia e Vich in comune di Ponte nelle Alpi.


Seguite il percorso dalla casa, in alto, nel cerchio azzurro presso la frazione Canevoi, scendere verso la macchia grigia in basso a destra, sopra la scritta Vich. La macchia grigia rappresenta la vecchia cava di marna, una roccia usata nella fabbricazione del cemento presso lo stabilimento che vedete poco sopra nel bordo destro della foto, in mezzo all'intricato svincolo autostradale della A27.


Nonostante la descrizione un po' industriale, siamo in mezzo alla campagna: sui prati, ancora verdi, fiorisce il Colchicum autumnalis, piccola bulbacea che annuncia l'autunno.


Fate attenzione a non prendere il colchico per zafferano: si assomigliano, ma il nostro colchico è assai velenoso. Tra gli alcaloidi che produce la pianta c'è la colchicina, di interesse farmacologico.


Il percorso si addentra nel bosco: il 18 sulla maglia verde, al centro della foto, evidenzia la presenza di Giacomo, un mio amico e collega, con cui ho condiviso i due passi pomeridiani.


Nel fango di un fosso, qualcosa si muove...


… qualche timido anfibio emerge, come potete vedere in questo dettaglio ingrandito.


Il cammino riprende, godendo dei giochi di luce che filtrano tra i rami.


Ecco spuntare tra gli alberi il camino del cementificio. Dietro, nubi permettendo, si ammira il profilo dei monti dell'Alpago.


Qui c'è quel che resta della vecchia cava: la voragine è stata riconquistata da una vegetazione rigogliosa. Suoni e odori gradevoli rasserenano: uccellini, insetti, ciclamini, il timo selvatico... ancora mancano i funghi, ma intanto si trovano more, rose canine e cornioli.


Al ritorno, il gatto aspettava comodamente seduto in attesa della sua razione quotidiana di crocchette.


E tra gli alti rami dell'acacia, una gazza bianconera attendeva furtivamente il momento per precipitarsi sulla ciotola e banchettare ai danni del vecchio felino (è uno spasso sentirlo miagolare quando ciò accade).


Alla prossima camminata autunnale, con nuovi colori e nuove piacevoli sensazioni.


(mc)

venerdì 13 settembre 2019

BHOPAL, 35 ANNI

Alla fine degli anni Cinquanta, mentre migliaia di contadini indiani vengono cacciati dalle loro terre da nugoli di insetti assassini, tre ricercatori newyorkesi inventano un insetticida che sa di miracoloso. 


La multinazionale che lo produce, Union Carbide, decide di impiantare una grande fabbrica nella splendida città di Bhopal, capitale del Madya Pradesh, nel cuore dell'India. 

A Bhopal, la sintesi dell'insetticida muove dal fosgene, che reagisce con la metilammina per formare il metilisocianato, ingrediente fondamentale degli insetticidi di questo tipo (carbammati). Nell'ultimo step, il metilisocianato si combina con 1-naftolo per dare la molecola desiderata.


I lavori per costruire lo stabilimento hanno inizio negli anni Sessanta e terminano nel 1980, quando la fabbrica gioiello viene finalmente inaugurata: essa comprende grandi magazzini per stoccare il prodotto,  l'impianto per produrre il naftolo, quello per il fosgene e il metilisocianato, le unità di sintesi e di formulazione, un laboratorio. 


Ma il sogno ha vita breve: nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 la fabbrica è teatro di un pauroso incidente che causa la morte di migliaia di persone e compromette gravemente la salute di molte altre, a causa delle emissioni di gas nocivi derivati dalla reazione incontrollata del metilisocianato con l'acqua.


I dettagli degli eventi sono stati ricordati in vari libri, da Mezzanotte e cinque a Bhopal di Dominique Lapierre a Avventure molecolari di Pellegrino Musto; e recentemente anche in un film del regista indiano Kumar, A prayer for rain, realizzato nel 2014, a trent'anni dai fatti narrati. 


A dicembre ricorreranno i 35 anni della tragedia. Mi piacerebbe parlarne ai miei discenti e al mio pubblico se me ne sarà data l'occasione - come mi è stata data presso l'UAA di Belluno qualche anno fa, in un poderoso ciclo di lezioni dedicati a Chimica ed Etica.

mercoledì 11 settembre 2019

39 + 1



Mi chiedo cosa dovrei festeggiare tra qualche settimana, quando abbandonerò gli -enta per addentrarmi ineluttabilmente negli interminabili -anta. Sono quasi intenzionato a rifiutare i famigerati -anta: d'ora in poi per me sarà sempre -enta più qualcosa - più uno, più due, più tre, etc. 

Se la vita, finora, fosse andata diversamente, magari sarei stato maggiormente felice di entrare in quella che chiamano l'età matura. Invece io non corrispondo agli standard previsti per la mia età: non ho una posizione lavorativa definita (sono felicemente precario e "felicemente" lo dico sul serio, ormai è diventato uno stile di vita), non sono sposato (o meglio: sono single, e anche qui più che felicemente e intendo restarlo), non ho figli, non sono impegnato nella politica attiva e nemmeno nel volontariato. 

Dopo un'infanzia tutto sommato molto agiata e serena, terminata con l'esame di terza media, cominciano anni di amarezze e di dolore: il liceo, che ho odiato e che odio tuttora per come lo ricordo; il volontariato coatto nell'associazione di cui mio padre è tuttora dirigente; gli studi di scienze religiose (da laico, guai se avessi compiuto scelte diverse) condotti quasi in segreto (nel disprezzo generale di familiari e non solo); l'interesse per la musica, che mi ha procurato il biasimo di molti (si facessero una volta i cazzi loro…); le prime esperienze di lavoro, come collaboratore giornalistico e come supplente a scuola; l'impegno e l'abnegazione disconosciuti da alcuni di questi datori di lavoro passati, che hanno preferito sorrisi e decolté di nipoti e referenziati; la decisione di lasciare tutto e ricominciare tentando altre strade, con la speranza di andarmene da Belluno (città nella quale sono nato - poco importa - e nella quale purtroppo sono rimasto e a questo punto mi rassegno a rimanere).


Fu così che alla vigilia degli -enta decisi di iscrivermi a chimica, scoprendo a Venezia (grande passione) tante persone meravigliose, mantenendo - esame dopo esame - la media oltre il 29/30 e coltivando una speranza vanificata dalla scelta di una tesi di laurea quinquennale sbagliata (mentre sono stato davvero fortunato nella scelta della tesi di laurea triennale, come ho detto e ripetuto altrove e ancora ripeterò in futuro).


Non entro nei dettagli di quei mesi inutili e improduttivi gettati al vento, ma vi racconto solo che per uno puzzavo troppo da prete, visti i miei studi "religiosi", e qualcuno ha aggiunto a questo anche il mio aperto rifiuto a votare per una certa parte politica. Per un altro era meglio che dimenticassi la chimica e mi dedicassi alla musica. No, caro mio. Non hai capito 'na beata minchia (per citare un noto personaggio di Antonio Albanese). Ho studiato chimica perché di musica non ne voglio più sapere. E nemmeno di religione, come ribadivo anche scrivendo tempo fa a un sacerdote nel passo di una comunicazione che potete leggere sotto.


Ora ho trovato un po' di serenità e molta soddisfazione personale nell'insegnamento delle scienze naturali in un istituto paritario e nella mia attività di divulgatore scientifico presso l'UAA di Belluno.

Voglio godermi il presente ma mi chiedo quanto possa durare ancora questa meravigliosa oasi di tranquillità. Non cammino sereno e fiducioso incontro al futuro e onestamente temo di non poterlo costruire come lo desidero, perdendo al contempo la capacità di adattarmi. Tremens factus sum ego et timeo dum discussio venerit…

Gli -enta mi abbandonano in mano agli -anta e mi viene da piangere come fosse il primo giorno di scuola, quando la mamma mi ha consegnato alla vecchia maestra; gracile e malaticcio, ero continuo bersaglio degli scherzi degli altri scolari. 

Ho imparato che nella mia vita tra gli amici più importanti metto tutti i miei libri, con i quali sono cresciuto: per questo ne ho letti tanti, ne ho accumulati anche di più e come se non bastasse ogni tanto ho il brutto vizio di scriverne. Il prossimo sarà dedicato all'unico vero amore della mia vita, il signor C, e ai suoi tanti volti. 

Qualche parente, magari femmina, che improbabilmente leggerà queste righe rimarrà inorridita di fronte a tale affermazione e penserà che mi sia avventurato in relazioni omosessuali. Si tranquillizzi, non è nulla di tutto ciò. I chimici avranno probabilmente capito a che cosa mi riferisco; agli altri basti sapere che attualmente gli amori che coltivo io sono puramente intellettuali.

Nel mio cuore non c'è spazio per la famiglia e per l'amore umano (etero-, tantomeno omo- o in qualsiasi altra forma vogliate pensarlo o viverlo voi: a mio modestissimo avviso, siamo tutti liberi e responsabili di compiere le nostre scelte, oltre i condizionamenti sociali e culturali). Troppa sofferenza tutto ciò comporta e non voglio piangere ancora più del necessario.

Fisicamente sono invecchiato, e assai velocemente, nel corso di pochi anni: barba bianca, lasciata volutamente incolta (e tale resterà fino al 31 dicembre 2024: non chiedetemi perché); chili di troppo; vene varicose, difficoltà digestive, coliche biliari (sono arrivato a quota venti episodi), piccole emorragie, svenimenti improvvisi (in uno di questi svenimenti sono caduto fratturandomi le costole), insonnia, qualche vizio (anche qua, non pensate male: non fumo e non abuso di alcolici; ma non mi faccio mancare quattro caffè al giorno e il mio amato formaggio, l'agno di quand'ero bambino, che prende il posto di carne, uova e legumi che ora mi sono indigesti, purtroppo).

E tra gli -enta e gli -anta, la vita continua, percorrendo l'arco di parabola ormai discendente. Per concludere, ricordatevi che la parabola della vita ha il coefficiente a < 0.


(mc)

lunedì 2 settembre 2019

La triste sorte di Cimarosa e di Rossini

Dedico questo post a due musicisti a me cari: Cimarosa e Rossini. Entrambi sono autori di opere che ho imparato a conoscere e ad amare in gioventù; entrambi hanno viaggiato in tutta Europa per diffondere la loro musica, entrambi hanno conosciuto l'invidia di Paisiello e la cattiveria dei suoi sostenitori, ed entrambi sono morti dello stesso male, di cui accennerò.


Domenico Cimarosa (1749-1801) nacque a Napoli, dove studiò musica sotto la guida di valenti maestri quali Sacchini e Fenaroli. Nella città natale mise in scena le prime opere, sia comiche sia serie. La sua fama si sparse prima a Roma e nel nord Italia e poi in tutta Europa. 

Giunse fino alla corte di Caterina di Russia a San Pietroburgo, città nella quale il musicista si trasferì nel 1787 per succedere a Giuseppe Sarti quale musicista di corte. A San Pietroburgo Cimarosa visse per tre anni, prima di intraprendere un lungo viaggio di ritorno verso la sua Napoli. 

Di passaggio a Vienna, compose la musica de "Il matrimonio segreto", la sua opera più famosa, messa in scena nel febbraio 1792 (nel video sopra, l'ouverture in una delle sue tante versioni). Alla sera della prima era presente l'imperatore Leopoldo II con la moglie: il sovrano, entusiasta della rappresentazione, offrì ai musicisti una cena e pretese in cambio l'immediata ripetizione dell'intero spettacolo. 

Tornato a Napoli, Cimarosa si compromise nei mesi della Repubblica partenopea; al ritorno dei Borboni, fu incarcerato e fu liberato dopo alcune settimane di detenzione per intercessione di alcuni amici altolocati.

La sua casa fu data alle fiamme: salvò il clavicembalo regalatogli dall'imperatrice Caterina e partì verso il nord. Si fermò a Venezia, dove prese alloggio a Palazzo Duodo, in campo Sant'Angelo, e dove assunse la direzione di un coro di un ospedaletto. Cominciò a comporre la musica per "L'Artemisia", un melodramma commissionatogli dal teatro La Fenice che resterà incompiuto.

Nei primi giorni del 1801 un forte dolore al basso ventre e perdite ematiche dall'ano manifestarono la malattia che lo portò alla morte, avvenuta qualche giorno dopo (11 gennaio). Subito qualcuno avanzò il sospetto di un avvelenamento, forse voluto dai Borboni. 

Fu tumulato in una chiesa che oggi non esiste più alle quattro del pomeriggio del giorno 12 gennaio. Il giorno 28 fu cantata, in suo onore, una solenne messa da requiem diretta da Bertoni, il maestro di cappella della Basilica di San Marco. Anche il cardinal Consalvi, suo amico, lo ricordò a Roma facendo eseguire il Requiem scritto da Cimarosa stesso. Nel video potete ascoltare il Lacrimosa


Il 5 aprile fu pubblicato il certificato di morte che fugò ogni dubbio sulla sua fine, dovuta non al veleno dei presunti sicari borbonici ma ad "un tumore che avea nel basso ventre, il quale dallo stato scirroso è passato allo stato canceroso". Così scrisse il medico Giovanni Piccioli, facendo eco al dottor Marco Franco, il quale ricordò che Cimarosa morì "dopo un decubito di otto giorni, attaccato da colica biliosa" (cfr. Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità, necrologio n° 989).


Ironia della sorte, per lo stesso brutto male morì, sessantasette anni dopo, Gioacchino Rossini (1792-1868).
Dopo aver operato il celebre paziente per delle sospette emorroidi agli inizi del novembre 1868, il chirurgo Auguste Nelaton (1807-1873) notò invece la presenza di un grosso cancro, di cui rimosse una parte. Per affrontare l'intervento, Rossini fu anestetizzato con il cloroformio; tuttavia ciò non bastò a preservarlo da un'infezione. Questa si estese a livello generale causando la setticemia che lo condusse ad esalar l'ultimo respiro venerdì 13 novembre 1868 nella sua villa di Passy. Su Rossini e i suoi mali fisici trovate qualche informazione in più QUI.


Buon ascolto! mc