L'altro giorno mi sono sottoposto a una visita specialistica. Una serie di misurazioni accurate in poco più di mezz'ora hanno confermato che non sono più un giovanotto ma non sono nemmeno da pensionare (purtroppo).
Al termine, ringrazio il medico - che mi segue da quasi un quarto di secolo - e vado dalla sua segretaria per corrispondere il dovuto. Senza batter ciglio, prendo il bancomat dal portafogli e pago, com'è giusto: cortesia, professionalità, tempo e tanti altri aspetti meritano un riconoscimento economico, oltre che sociale.
Tornando a casa, ho cominciato a riflettere ancora sulle mie scelte decisamente sbagliate, considerando stavolta anche gli aspetti economici: condivido qui qualche sottolineatura rivolgendomi anche a chi, in questi giorni, deve perfezionare l'iscrizione all'università.
Va bene lasciarsi guidare dalle passioni, dalle ambizioni personali, dagli ideali: ma quando ci orientiamo verso una professione, dobbiamo tener conto che quella è un abito che dobbiamo indossare per molti anni. E ritrovarsi poi con un abito scomodo, troppo stretto o troppo largo o di un colore che non piace più e non aver modo di poterlo cambiare se non in peggio... è dura.
Io ho subito molti condizionamenti da parte della famiglia e del contesto sociale dove purtroppo sono rimasto a vivere, che desideravano per me un lavoro stabile anche se dequalificato, uno stipendio fisso pur se misero, matrimonio e figli, volontariato, etc.
Mia nonna mi ripeteva sempre che se avessi fatto il muratore, mi fossi sposato e avessi avuto una famiglia mia ora sarei più felice. Ho la certezza del contrario: non sopporto i lavori manuali e ripetitivi (che lascio volentieri a chi li sa fare) e godo del silenzio nella solitudine della mia vita privata.
Proprio mia nonna mi predicava la famiglia: lei, che si vantava di essere stata sposata con mio nonno per quasi 61 anni senza averlo amato un giorno. Lo ha fatto solo per un eroico sacrificio (che orgogliosamente ostentava) in onore di una famiglia eletta a pagana divinità, alla quale avrei dovuto, nella sua visione delle cose, offrire in olocausto le mie aspirazioni e i miei sogni, ai quali comunque sono stato costretto a rinunciare.
Anche mio padre avrebbe voluto forgiarmi quale brutta copia di sé stesso e ho lottato per anni per non realizzare i suoi progetti per la mia esistenza. Non ho realizzato nemmeno i miei. Mi accontento di quel poco che sono, ormai ho indossato un abito che non posso più cambiare e che devo, in qualche modo farmi piacere. Sognavo il camice bianco con il caduceo: mi rimane la libertà di vestire casual. Molto casual.
Col senno di poi, non mi sarebbe dispiaciuto nemmeno fare il medico, allo stesso modo della figura evocata in apertura del post. Sarei certamente stato in grado di sostenere la fatica intellettuale degli studi di medicina - troppo lunghi, a detta di qualcuno che non sa mai farsi i fatti propri.
Di certo non voglio fare il chimico, lo ribadisco. Sono solo laureato in chimica. Pure con lode. E con il magone di non poter più prendere la strada che avrei voluto e che non è quella che ho battuto. Mi accontento del mio sentiero sterrato. Ma voi che potete ancora scegliere e cambiare, non rinunciate a farlo, sapendo volgere lo sguardo anche a un futuro remoto.