sabato 30 aprile 2022

Trieste e i suoi scrittori in TV

"Trovo la televisione molto istruttiva: ogni volta che vedo l'apparecchio acceso vado di là a leggere un libro". L'aforisma di Groucho Marx (1890-1977) anticipa la mia posizione sulla televisione e sulla sua offerta, anche se io non sono così drastico: non la rifiuto del tutto, ma riduco la mia attenzione esclusivamente ai canali culturali

Lunedì sera, accendo l'apparecchio su Rai 5 - canale 23 per vedere Sciarada - il circolo delle parole. Tema della puntata? Trieste, ovviamente. 

E così, in un'oretta di servizio, ho rivisto i luoghi che ho visitato dal vivo la scorsa settimana e che vi ho presentato negli scorsi post. Là si sono incontrati Saba, Svevo e Joyce

Per cominciare, ecco qualche scorcio di piazza Cavana, un tempo il quartiere delle prostitute e oggi un luogo ricco di piccoli esercizi commerciali, punti di ristoro e strutture ricettive, incluso l'albergo dove ho pernottato io - Hotel Portacavana.








Ed ecco un paio di immagini d'epoca del poeta Umberto Saba (1883-1957) nella sua libreria, tuttora esistente.





Ovviamente non potevano mancare le meduse "polmoni di mare", che attestano quanto le acque del Golfo siano sufficientemente pulite.


E ovviamente un riferimento alla Bora, rievocata nella descrizione di Svevo.


Qualche panoramica dalla città alta fa da cornice all'aspetto gastronomico, con una rassegna di piatti tipici annunciati sulle lavagnette delle trattorie.





Infine, ecco James Joyce (1882-1941): lo incontriamo sul ponte della Curta, presso il canale.



Mi mancano solo di incontrare l'Amore della mia vita e un'offerta di lavoro allettante e mi ci potrei trasferire. Ma nell'amore non credo più da tempo e nell'offerta di lavoro non spero. Sicché resto felicemente dove sono: per ora e per me è il migliore dei mondi possibili, anche se sono ben consapevole che tutto è destinato a passare.

venerdì 29 aprile 2022

Trieste: letteratura e scienza

Passeggiando per le vie di Trieste, soprattutto nella parte storica della città, mi è capitato di imbattermi nelle statue a grandezza naturale di Gabriele D'Annunzio e di Italo Svevo; e di notare alcune targhe che evidenziavano quali luoghi erano frequentati dai letterati e dagli uomini di cultura - come Saba, Joyce, Rilke e altri, fino alla scrittrice Susanna Tamaro - che mi è sembrato di aver intravisto l'altro giorno seduta ai tavoli della gastronomia Siora Rosa - un posticino niente male per consumare velocemente qualche piatto tipico. 

Probabilmente mi sarò sbagliato; ma qualche copia del suo ultimo lavoro, Invisibile meraviglia, faceva bella mostra di sé nelle vetrine della Libreria del Centro.

Qualche istante prima di lasciarmi catturare dalla vetrina della libreria, avevo ceduto alla tentazione di fare un selfie con il Vate davanti al Palazzo della Borsa. Il mio pensiero era frattanto corso a "Forse che si, forse che no", l'ultimo romanzo suo, pubblicato nel 1910 e ambientato nel mondo dell'aviazione.  

Geograficamente la vicenda narrata si colloca in Toscana: a poche righe di quest'opera dannunziana deve il nome la Piazza dei Miracoli a Pisa. 

L'àrdea roteò nel cielo di Cristo, sul Prato dei Miracoli. Sorvolò le cinque navi concluse del Duomo, l'implicito serto del Campanile inclinato sotto il fremito dei suoi bronzi, la tiara del Battistero così lieve che pareva fosse per involarsi gonfia di echeggiamenti. 

E poi, ad un certo punto, ecco la descrizione dei soffioni della Val Cecina, che dal 1904 erano stati sfruttati per produrre energia elettrica grazie a una geniale intuizione del principe Ginori Conti.

Come gromme di tartaro, come coaguli di sangue, biancheggiavano, rosseggiavano, le crete ei tufi giù per le mature e per le lacche. Era la riviera del bollor vermiglio quella che fumigava a valle della vecchia roccia? Quella che luceva tra le grotte allamate era la lorda pozza ove Dante vide fitti nel limo gli iracondi? (pp. 183-184)

E ancora:

Bolliva e soffiava come se per entro vi salisse l’ansito e il gorgoglio dei dannati fitti nel limo, come se nel fondo vi s’agitasse la mischia perpetua degli iracondi: il riferimento è chiaramente al canto VII dell'Inferno dantesco. Rileggiamone alcuni versi, dal 100 al 120.

Il viaggio di Dante non è certamente un giro in gondola per i canali della mia amata Venezia - come potrebbe sembrare invece esserlo quello di Ade, con i suoi fiammeggianti capelli color metano urente, nel disneyano Hercules.  

Forse per calmare i bollenti spiriti degli iracondi potrebbe giovare un po' di quel Veronal che Svevo descrive ne "La coscienza di Zeno" (1923): si tratta di un barbiturico inventato da Emil Fischer e Joseph von Mering nel 1903, usato un tempo come sonnifero - e in dosi eccessive come veleno per commettere suicidio: per questo, a partire dagli anni Settanta, è stato largamente sostituito, nella pratica clinica, dalle benzodiazepine.

Stando al quinto capitolo del romanzo di Svevo, durante una gita in barca, Guido Speier intrattiene il cognato Zeno Cosini in una lunga disquisizione se sia meglio il Veronal puro o il Veronal sodico (più idrosolubile del primo): d'altronde Zeno si iscriveva, ad anni alterni, a chimica e a giurisprudenza e il sodio era l'argomento dell'unica lezione di chimica a cui avesse assistito. 

Lasciando al navigatore il piacere di leggere il romanzo e di scoprire che brutta fine farà il povero Speier, ricordiamo che anche lo scrittore lasciava a desiderare, in quanto a equilibrio mentale (e pure lo scrivente, ma su questo per oggi soprassediamo). 

Spesso Svevo abbisognava di una cura ricostituente e per questo si recava in piazza Cavana per acquistare il Vino di China Serravallo in una farmacia - tuttora esistente (anche se intitolata "Al Redentore") e arredata con mobili dell'epoca

Un gesto che ho compiuto pure io, ricordando Svevo, i suoi personaggi - incapaci di adattarsi alla vita in un mondo che muta: ecco gli "inetti" - e anche i miei nonni, che "si tiravano su" con un tuorlo d'uovo sbattuto con lo zucchero e un cucchiaino di ferrochina: il ricostituente dal colore nero e dal sapore rugginoso, ottenuto complessando gli ioni ferro con i polifenoli e gli alcaloidi degli estratti idroalcolici vegetali.


Alla prossima!

giovedì 28 aprile 2022

Una mostra su Frida Kahlo

Durante il mio breve soggiorno tergestino, ho avuto modo di apprezzare una bellissima mostra su Frida Kahlo (1907-1954), la celebre pittrice messicana dall'esistenza assai travagliata, raccontata recentemente anche in un film che personalmente trovo assai coinvolgente.


Sede dell'esposizione (visitabile fino a luglio) è il magnifico Salone degli Incanti. Preciso: la mostra è "su" Frida Kahlo, non "di". Il percorso racconta infatti la vita e i tormenti della donna più che l'opera della pittrice.


Attraverso una serie di pannelli, al visitatore è permesso di ripercorrere le vicissitudini esistenziali dell'artista e di osservare gli oggetti del suo quotidiano, a cominciare da colori e pennelli...


... per passare alla sedia a rotelle ...


... e al letto, sopra il quale trova posto uno dei tanti busti che ella stessa utilizzava come supporti per dipingere.


Una serie di sculture, esposta sopra un sostegno a forma di Teocalli - la piramide a gradoni mesoamericana - ricorda la cultura e le tradizioni del Messico precolombiano, dominato dal pensiero della morte.


E tra i motti di Frida, scritti a caratteri giganti lungo il percorso espositivo, ecco trionfare un significativo "viva la vida" - che non abbisogna di traduzioni e che dà il titolo all'ultimo quadro, dipinto undici giorni prima di morire.


E poi, pensando alla travagliata storia d'amore con Diego Rivera (1886-1957), suo maestro, amante e marito di ventun'anni più vecchio, ritroviamo anche il frammento seguente:


In un ampio spazio trovano posto i suoi abiti coloratissimi, ispirati alla Tradizione della sua terra, dove si mescolano elementi diversi, spagnoli e aztechi, cristiani e pagani. Mors et vita duello / conflixere mirando...


Molti sono adornati con sontuosi motivi floreali...


... e il tripudio dei colori e delle forme ampie ben si armonizzano con le incantevoli bianche geometrie del Salone liberty progettato nel 1913 da Giorgio Polli (per essere usato come mercato del pesce...).


Tutta la produzione di Frida Kahlo è autoreferenziale e ferma sulla tela i momenti più drammatici della sua vita - come l'incidente sull'autobus, le gravidanze interrotte, i tradimenti del marito - e il rapporto controverso con il suo corpo martoriato.


Al termine del percorso, tra alcuni disegni di Rivera, è possibile ammirare uno di questi autoritratti, in cui Frida si rappresenta bambina, quando desiderando un aeroplanino giocattolo ricette in regalo dalla madre, cattolica anche troppo devota, un costume da angioletto. Così scrive la pittrice in calce al dipinto: Piden aeroplanos y les dan alas de petate (= chiedono aerei e danno loro ali di paglia).


QUI trovate qualcosa in più su Frida. E un ultimo suo pensiero per chiudere il post.

mercoledì 27 aprile 2022

Trieste, città d'Arte

L'immagine di apertura del post riprende Trieste come presentata oggi da Google maps: da notare il profilo della città, individuato da un'area più chiara, a sinistra bagnata dal mare (in azzurro) e a destra delimitata dalle alture carsiche (in verde).


L'insediamento è antichissimo: nel cuore della città emergono i resti del teatro romano (sopra) e di un frantoio; altre rovine le ritroveremo più avanti (pazientate, tra qualche foto ci arriviamo!). Intanto godetevi le colonne neoclassiche della Chiesa di Sant'Antonio Taumaturgo...


... oppure del Palazzo della Borsa nella piazza omonima.


A proposito di Neoclassicismo, non dimentichiamo che Trieste è la città dove morì Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), lo storico che con la sua concezione dell'arte animata da "nobile semplicità e quieta grandezza" condizionò la cultura del suo tempo e l'attività di pittori e scultori quali Canova, Mengs e David

A Winckelmann sono dedicati un monumento funebre e l'orto lapidario, adiacenti alla Cattedrale di San Giusto. Ho visitato ambedue, accompagnato da uno sparuto gruppetto di coraggiosi e curiosi avventori.


Per gli amanti delle Arti figurative, è d'obbligo almeno un passaggio a Palazzo Revoltella: occorrerebbe prendersi il tempo per visitare un piano al giorno, e questo solo per farsi un'idea di quanta Bellezza vi sia accolta e curata. 

In questi giorni è visitabile una mostra dedicata a "Monet e agli Impressionisti in Normandia" - anche se personalmente avrei denominato il percorso "La Normandia nella pittura francese dell'Ottocento".


A dispetto del titolo, ecco un'opera di Claude Monet (1840-1926) che ferma sulla tela un paesaggio olandese - con il canale, i campi di tulipani e un mulino a vento sullo sfondo.


Frank Meyer Boggs (1855-1926) è un pittore americano naturalizzato francese: ecco come ha dipinto le barche dei pescatori immerse nella nebbia del mattino nel porto di Dieppe (1881).


Pasquale Revoltella (1795-1869), finanziere e imprenditore di origine veneziana, fu uno dei personaggi più rappresentativi della Trieste asburgica - quale anima di molte iniziative economiche di successo. 


Particolarmente forte fu il suo impegno per l'apertura del Canale di Suez, celebrato in molte opere - carte geografiche, dipinti, sculture - esposte nelle stanze che costituivano il suo appartamento, donate - con tutto il palazzo e la villa fuori dell'abitato - alla città di Trieste dopo la sua morte e riorganizzate in museo dal 1872.


Negli ultimi piani dell'edificio trova posto l'immensa galleria di Arte moderna e contemporanea. 


Ammirate, sopra, la "Preghiera di Maometto", di Domenico Morelli (1823-1901); e sotto, "Ascoltando Beethoven" di Lionello Balestrieri (1872-1958), allievo di Morelli.


Per restare in tema di ritratti e autoritratti allo specchio, oggetto delle ultime disquisizioni (degli ultimi sproloqui, dovrei dire) con il professor Barbazza, ecco un'opera significativa di Cesare Sofianopulo (1889-1968); ritroverò un altro suo dipinto, "Ego sum vita", visitando la Cattedrale - ma di questo non ho scattato la foto, avendo preso con me un depliant con l'immagine già riprodotta.


Dalle terrazzine del sottotetto di Palazzo Revoltella è possibile ammirare una vista del porto davvero appagante, che avrebbe meritato un meteo più amichevole per essere apprezzato fino in fondo.


Per restare in tema di Arte moderna e contemporanea, nell'abside della Cattedrale di San Giusto risplende un mosaico eseguito dal maestro veneziano Guido Cadorin (1892-1976) nel 1933, nell'anno del Giubileo straordinario della Redenzione.


Il mosaico raffigura l'incoronazione della Vergine Maria; l'iscrizione latina Italiae matris gremio recepti tergestini victoria ovantes ha un sapore più patriottico che religioso.


Dalla cella campanaria della torre adiacente alla Cattedrale si gode di una bella vista della parte asburgica della città, con i suoi edifici in stile tardo-ottocentesco...


... e anche del castello, con le sue possenti mura (e un museo di armi storiche al suo interno). 


Scendendo lungo la stretta scala del campanile, una serie di pietre lavorate - capitelli, bassorilievi, etc, - testimonia l'origine pagana del sito.


Tra il castello e la cattedrale, ecco i resti dei templi romani dedicati a Giove, a Giunone e a Minerva.


Osserviamo meglio la foto seguente. Quel barbuto e panciuto profilo nella cella campanaria è assai familiare. Chi sarà mai?


Ovviamente sono io, preso a tradimento da qualcuno della mia comitiva che se ne stava sul torrione del castello.


Consultando ancora la cartina in apertura, è segnata Piazza Unità d'Italia: la più grande piazza affacciata sul mare di tutto il Vecchio Continente. Qui ve la mostro in uno scatto notturno.


Lasciatemi due minuti per attraversarla e vi restituisco una foto dell'edificio centrale, il Palazzo del Municipio progettato nel 1872 in uno stile assai eclettico dall'architetto Giuseppe Bruni (1827-1877). 

Chiudo con un ultimo riferimento all'immagine di apertura: il punto rosso al centro segna la posizione dell'ospedale di Cattinara, con le sue due grigie torri che potete vedere nella foto sotto.