Un paese straziato dalla guerra ha fame di energia per alimentare la voglia di rinascere. L'energia è la capacità di compiere lavoro, insegnava il professore di fisica a scuola: energia e lavoro hanno la stessa unità di misura. E il lavoro è dato dalla forza per lo spostamento. La forza dell'acqua che cade, catturata dall'ingegno umano, è trasformata in luce e vita per le comunità che rifioriscono.
Si costruisce una grande centrale idroelettrica: una cattedrale dell'energia, con tanto di affreschi che celebrano il trionfo dell'ingegno umano, vittorioso sulle indomabili forze della natura; e di mosaici che raccontano non le gesta di Cristo o le vite dei santi, ma le vie percorse dall'energia, che può essere trasformata in varie forme minimizzando le inevitabili perdite.
Fame di energia significa sete d'acqua per far girare turbine e alternatori: il resto lo fanno la forza di gravità e la legge di Faraday-Neumann - col segno negativo di Lenz. Per placare questa sete è necessario un bel bicchiere d'acqua, grande come una lunga e stretta valle chiusa da un muro di cemento armato alto 261,6 m, dalla forma a doppio arco: il più grande del mondo.
Il progresso non deve conoscere ostacoli: bastano due anni di sforzi ed il muro è là, e la valle è diventata un gigantesco bicchiere pieno d'acqua. Se ne rallegrano gli abitanti del paese ai suoi piedi: il cantiere ha portato numerose persone - ingegneri, geometri, maestranze - che per un po' hanno affittato camere, hanno mangiato in trattoria, hanno acquistato sigarette e pane fresco con formaggi e salumi.
Se ne rallegrano molto meno coloro che nella lunga e stretta valle avevano la vecchia casa di famiglia, il campo da coltivare per avere di che sopravvivere, un pezzo di bosco per la legna da ardere nella stufa, durante i lunghi inverni, o il pascolo per portarvi d'estate capre, pecore e qualche bovino.
Tentano di protestare, come possono: non sono andati troppo a scuola, giusto il necessario per non limitarsi a firmare con una croce e a contare le monete da non dare in elemosina al prete, visto sospettosamente come servo dei padroni e dei loro profitti più che come pastore di anime. Un pastore ha i calli e puzza; un prete no, tranne che nelle vuote e stolte opinioni di certuni accademici dei tempi nostri. Una giornalista raccoglie la voce dei valligiani e scrive: una giornalista, donna e pure "comunista". Ma scrive.
Intanto qualche smottamento comincia a risvegliare l'attenzione. Nell'altra valle, il guardiano della diga è trascinato nelle acque del piccolo lago artificiale dalla terra che vi è caduta dentro. Di là, si continua a riempire il bicchiere: l'acqua, tuttavia, risveglia un'antica frana che inizia a muoversi. Qualcuno si illude che si possa far scivolare lentamente la frana nell'invaso regolando il livello dell'acqua: si studia il caso costruendo un modellino in scala e destreggiandosi con il regolo e le tavole dei logaritmi.
Mercoledì di coppa: c'è una sola televisione per vedere la partita. Tutti giù in paese, all'osteria. E tra un'ombra e una cicca, il Real infila sei reti ai danni dei Rangers.
Intanto, Emilio era appena tornato da Caprile, dov'era elettricista nel cantiere di un'altra diga ancora - mai terminata. Non era riuscito a portare con sé quel sacco di patate che doveva scambiare nel paese a fondo valle con qualche coperta. Suo fratello Paolo sarebbe passato in macchina a prenderlo per andarci: era in ritardo, quella sera. Non arriverà più: fu la salvezza di entrambi.
Un sasso era caduto nel bicchiere colmo d'acqua e l'acqua era caduta sulla tovaglia - scriverà un paio di giorni dopo la tragedia un noto giornalista sul più importante quotidiano nazionale di allora. In quattro minuti, il paese a fondo valle e le sue frazioni non erano più, cancellate dalla forza dell'acqua che cade. Il fragore dell'onda cedette il posto al silenzio della morte. La luna, in cielo, rischiarava quella notte le bianche rocce. E il fango. E i detriti.
Il silenzio durò per molti anni: fu interrotto dal genio di un giovane attore di teatro seguito da un regista cinematografico e da molte pubblicazioni e studi. E dai superstiti che hanno preso coraggio e hanno raccontato di quella notte in cui il tempo si è fermato.
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario: un dovere, quello della memoria, al quale Levi ci appella per la Shoah, ma che vale per ogni tragedia causata dall'uomo e dalla sua cupidigia.
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